domenica 24 maggio 2009

Cosa fa lo psicologo?

Questa domanda ha molteplici risposte. Una delle più valide la si ritrova all'inizio del terzo articolo del codice deontologico degli psicologi italiani:

"Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace."

Il suo campo d'azione d'elezione non è quindi quello della patologia, dei disturbi, bensì quello dei processi normali. Uno psicologo può interessarsi ad esempio di come si sviluppino il linguaggio, o le capacità di lettura o la memoria, e studiare quindi successivamente tecniche specifiche che ci aiutino nello svolgimento di questi compiti. Egli si occupa quindi dapprima della comprensione dei processi di volta in volta oggetto di studio, e successivamente del loro miglioramento. E' a lui che spetta la scelta del suo specifico oggetto di studio e delle tecniche che impiega per studiarlo, così come la responsabilità dell'affidabilità del suo lavoro e dei suoi risultati.

Che poi siano psicologi dello sport, del lavoro, dell'età evolutiva, o quant'altro, è questo il motivo per cui è sempre più che giusto chiedere loro "sì, d'accordo, uno psicologo, ma lei cosa fa?"

martedì 12 maggio 2009

Psicanalisi come scienza... in breve ;-)

Raccolgo brevemente una questione lasciata ahimè aperta mesi or sono. Brevemente perchè ormai è passato tanto tempo e perchè dopo alcuni ragionamenti con i miei "colleghi" ho deciso di esser più presente sul forum, con interventi più coincisi... per questo taglierò su preamboli, passaggi e focalizzerò solo alcuni nodi a mio avviso particolarmente significativi rimandando gli approfondimenti alle discussioni che eventualmente seguiranno.
Il mio, insomma, non sarà una lezione sulla psicoanalisi in genere, ma un intervento di taglio epistemologico.
Innanzitutto, va ricordato come la disciplina sia nata avendo come modello le scienze naturali. Ora, se è innegabile un certo peso, nella formazione di Freud, di alcuni esperimenti del neurologo Charcot - cosa che agli occhi nostri potrebbe metterne in dubbio l'intento scientifico - va detto che l'intenzione del fondatore della psicoanalisi, che aveva ben chiari i principi della fisiologia, era riuscire a fondare una nuova disciplina della mente con un forte approccio "medico".
Fin qua, appunto, le intenzioni. Che non bastarono ai detrattori per discolparlo dell'accusa di "filosofeggiare" e basta. Come si poteva pretendere di studiare scientificamente un qualcosa che non si può vedere, toccare con mano? Sottoporre a osservazioni inequivocabili, per esempio in laboratorio? E che dire del punto di vista dell'osservatore?
Solo dopo la seconda guerra mondiale queste critiche hanno perso valore. Non si poteva più sostenere che l'irriproducibilità di un oggetto di studio ne impedisse l'indagine scientifica quando proprio una delle scienze esatte per antonomasia, la fisica, aveva da poco dovuto "negoziare" tale assunto. A mio avviso, ben prima (diciamo qualche migliaio di anni), con lo studio del moto dei pianeti l'umanità aveva dimostrato che la limitatezza dei mezzi non poteva limitare del tutto il lavoro degli scienziati - anche se all'epoca (ad esempio presso i Maya) gli studiosi non venivano definiti tali. Ma che quegli antichi studiosi avessero davvero ragione possiamo dirlo con certezza soltanto ora!
Il punto quindi è: come studiare scientificamente la mente, invisibile e intangibile, dell'uomo? O forse, dovremmo chiederci, come è possibile studiarla nel modo più scientifico possibile, in rapporto alle conoscenze e ai mezzi che disponiamo nel nostro tempo?
Questa è stata a mio avviso la genialità di Freud. Non ha senso criticarlo oggi per quello che, ai nostri occhi, egli sbagliò allora. Il bilancio tra mezzi a disposizione nelle diverse epoche e intenti perseguiti continua infatti a sembrarmi attivo.
Tra i suoi continuatori, alcuni non furono all'altezza di questa - lo ammetto, spesso frustrante - impresa. Sono quelli che si definiscono filosofi. Altri hanno recuperato la mission del maestro, cercando di affinare la tecnica e individuare strumenti di verifica del proprio operato alternativi - per ovvie ragioni - alle simulazioni con i volontari o altri tipi di esperimenti in laboratorio.
Se un domani esisterà una macchina capace di recuperare nitidamente le immagini memorizzate dal cervello, le sensazioni, i pensieri precisi, "trascriverli" in un continuum storico e risalire, in un processo di circolarità tra medico della mente e paziente, agli eventi traumatici o anche solo alla costruzione dei significati dal punto di vista del soggetto osservato, gli psicanalisti perderanno probabilmente la loro ragion d'essere. Ma fino a quel momento, continuerò a pensare che la psicanalisi, che comunque non pregiudica sinergie con altre discipline* al fine di meglio svolgere il proprio lavoro, lrimarrà un'insostituibile approccio, oltretutto poco invasivo, con cui lavorare sull'unicità psicologica di ogni essere umano.

* Un interessante esempio è il testo Neuropsicanalisi di Mark Solms.