Dopo aver invano tentato di realizzare un intervento al contempo esauriente e breve, ho scelto un'altra strada: proporre una soluzione del dilemma relativo alla possibile scientificità della psicanalisi in più puntate; e, non potendo queste essere autoconclusive, per meglio aiutare chi vorrà seguire il discorso pongo alcune premesse.
Innanzitutto, non imposterò l'argomento - almeno all'inizio - ponendo il metodo psicanalitico in relazione a quello delle scienze naturali: questo significherebbe infatti prendere queste ultime come parametro di riferimento, cosa impropria, limitante e riduttiva, per le ragioni che vedremo. Sempre per le ragioni di cui sopra, e per riservarmi poi di recuperare i punti di contatto tra psicanalisi e studi di matrice biologica (e non solo) inerenti la mente umana, rifiuterò di trattare il metodo psicanalitico in contrapposizone alle scienze naturali.
Quanti a priori non sono disposti nemmeno a ipotizzare la scientificità della psicanalisi in virtù della pregiudiziale naturalistica di cui sopra, avran probabilmente già optato per una subordinazione della stessa alle scienze naturali (specialmente per quanto riguarda l'approccio terapeutico in caso di problemi per così dire "gravi"); e, in questo caso, penso che costoro faticheranno a trovare nei miei interventi qualcosa di interessante.
Tuttavia, per non abusare della pazienza di questi ultimi, e di quanti eventualmente fossero sinceramente interessati quantomeno a interrogarsi intorno al problema, anticipo che alternerò gli interventi in materia con interventi di tutt'altro genere e su tutt'altro argomento, sperando così di non appensatire la discussione e dare occasione di riflessione, critica e confronto a quei lettori che, scientifica o no che sia, alla psicanalisi non sono proprio interessati.
lunedì 26 maggio 2008
sabato 24 maggio 2008
Il collasso cantoriano: breve storia del neurone
Neuron
This article is about cells in the nervous system. For other uses of the term neuron, please see neuron (disambiguation).
Wikipedia
La storia del termine neurone è istruttiva per ciò che ho raccontato la scorsa volta.
Cercherò di spiegare per quali motivi trovo la storia del termine neurone esemplare. Esemplare, intendo, come esempio della nascita di una nuova disciplina a causa del sovraccarico di un termine o di un concetto di una disciplina precedente.
Premetto che affronterò la storia da un punto di vista, per così dire, biologico, e mi disinteresserò di quello informatico. Ad un certo punto sarà necessario ricongiungersi all'informatica, e spiegherò perchè. Ma per ora dimentichiamocene.
Il nostro viaggio comincia nel 1848 quando il biologo Emil du Bois-Reymond, da non confondere con il matematico Paul du Bois-Reymond, suo fratello, scoprì il potenziale d'azione nelle cellule del cervello dette neuroni. Detto brevemente, queste cellule sono interconnese fra loro tramite sottili propaggini dette assoni, sulle quali brevi impulsi elettrici vengono trasmessi dall'una all'altra; tali impulsi elettrici sono detti potenziali d'azione.
Egli scoprì, dunque, che i neuroni comunicano utilizzando un codice simile al Morse, in cui però ci sono solo punti e non linee. Successivamente, nel 1851, il suo amico Hermann von Helmholtz misurò la velocità di tali impulsi elettrici. Poi, per circa un secolo, nulla.
(Non proprio nulla, Bisogna citare almeno due fatti avvenuti all'inizio del XX secolo:
1) Ramon y Cajal scoprì che i neuroni erano interconnessi fra loro e suppose, dunque, che fossero le unità funzionali del sistema nervoso centrale.
2) In risposta a du Bois-Reymond e al suo Ignorabimus, il matematico David Hilbert tuona ad una conferenza nel 1930.)
Comunque sia, un secolo più tardi, siamo negli '50 del XX secolo, Hodgkin e Huxley formulano delle equazioni che descrivono con notevole precisione tale fenomeno.
Qua la nostra storia entra nel vivo. Il problema, ma anche la grande fortuna delle equazioni di Hodgkin-Huxley (d'ora in poi HH per brevità) è la loro incredibile complicatezza. Esse, infatti, sono un sistema di equazioni alle derivate parziali non lineari. In pratica, tutto il peggio che si possa avere, tutto insieme.
Per tentare di capirci qualcosa, si è proceduto a provare diverse semplificazioni, col risultato di sviluppare una serie di sistemi alternativi che usano l'una o l'altra semplificazione, qui e qui due esempi. Ognuna di queste semplificazioni richiederebbe un trattamento a parte, ed è, in verità, oggetto di studio di schiere di scienziati.
Ritorniamo a noi: questa pletora di equazioni e modelli erano tutti tentativi di modellare un solo oggetto: il neurone. Tuttavia, affinchè il collasso sul termine neurone avvenga, abbiamo bisogno di un altro ingrediente: dobbiamo ricongiungerci all'informatica che abbiamo abbandonato all'inizio.
Questo lo faremo la prossima volta...
mercoledì 21 maggio 2008
Il collasso cantoriano
Una questione che mi affascina particolarmente all'interno della scienza è quella del linguaggio; principalmente per motivi privati: trovo appassionante imparare il linguaggio delle nuove comunità scientifiche con cui vengo a contatto.
Fra i meccanismi con cui il linguaggio interno di una comunità scientifica si sviluppa, voglio parlare adesso del collasso. Il termine è coniato da me, quindi non cercatelo su Wiki.
Definizione
Un collasso avviene quando un termine d'uso comune in una comunità scientifica diventa il punto centrale di una teoria. Per dare un criterio pratico, quando quasi ogni articolo di ricerca nella disciplina in questione si riferisce in maniera diretta o indiretta al termine.
Effetti
Cosa succede quando una comunità scientifica collassa su un termine? Un effetto tangibile è che tale disciplina diviene momentaneamente inintelleggibile per gli esterni, dato che il termine in questione viene caricato di numerosi significati diversi, ed eventualmente in contraddizione tra loro.
Inoltre, un tale sovraccarico può preparare uno slittamento di paradigma, per dirla alla Kuhn. Per esprimersi in maniera più semplice: può preludere alla nascita di una nuova disciplina scientifica, non appena sia possibile dare un significato preciso, ma sufficientemente flessibile, al termine sul quale collassa la teoria.
Esempi
Un esempio tratto dalle storia della matematica è quello del termine infinito e della sua definizione precisa dovuta a Cantor: una buona linea di distinzione per la matematica moderna può essere quella fra matematica pre- e postcantoriana.
Dato che qui vogliamo parlare di mente, citerò un esempio dalla neuroscienze computazionali: il termine neurone.
Di più in un prossimo post.
Fra i meccanismi con cui il linguaggio interno di una comunità scientifica si sviluppa, voglio parlare adesso del collasso. Il termine è coniato da me, quindi non cercatelo su Wiki.
Definizione
Un collasso avviene quando un termine d'uso comune in una comunità scientifica diventa il punto centrale di una teoria. Per dare un criterio pratico, quando quasi ogni articolo di ricerca nella disciplina in questione si riferisce in maniera diretta o indiretta al termine.
Effetti
Cosa succede quando una comunità scientifica collassa su un termine? Un effetto tangibile è che tale disciplina diviene momentaneamente inintelleggibile per gli esterni, dato che il termine in questione viene caricato di numerosi significati diversi, ed eventualmente in contraddizione tra loro.
Inoltre, un tale sovraccarico può preparare uno slittamento di paradigma, per dirla alla Kuhn. Per esprimersi in maniera più semplice: può preludere alla nascita di una nuova disciplina scientifica, non appena sia possibile dare un significato preciso, ma sufficientemente flessibile, al termine sul quale collassa la teoria.
Esempi
Un esempio tratto dalle storia della matematica è quello del termine infinito e della sua definizione precisa dovuta a Cantor: una buona linea di distinzione per la matematica moderna può essere quella fra matematica pre- e postcantoriana.
Dato che qui vogliamo parlare di mente, citerò un esempio dalla neuroscienze computazionali: il termine neurone.
Di più in un prossimo post.
lunedì 19 maggio 2008
Difficile serenitá
" Per Allah, sorella mia, raccontaci una storia che ci faccia passare lietamente la nottata! "
E Shahrazàd rispose: " Lo farò ben volentieri se me lo concederà questo re cortese. "
Quando il re senti queste parole, non gli dispiacque di ascoltare il racconto di Shahrazàd, anche perché quella notte si sentiva agitato e non aveva voglia di dormire. E Shahrazàd cominciò a raccontare...
Le mille e una notte
Pensate a un romanzo letto di recente. O a un libro, una storia, un film. Trovate in esso uno specchio piú o meno fedele della vita? O un resoconto piú o meno deformato? L'anima del dramma in generale sta nel conflitto, sia che questo chiami in causa Caino e Abele, re e poveracci, il dovere contro la passione di Tristano. Perché? Da cosa nasce anzitutto il racconto, come comportamento umano? Solano (1) sostiene, forte di una rassegna di studi, gli effetti positivi del racconto per iscritto sul benessere psicologico di pazienti sofferenti di varie patologie. Gli effetti di pochi minuti al giorno di scrittura che implicasse contenuti emotivi profondi risultavano impressionanti. Questi scritti prendevano gradualmente la forma di una storia, passando da un cronaca le prime volte che i soggetti si cimentavano, per poi divenire sempre piú intimi e piú espliciti. Viene subito da pensare agli approcci teurapeutici che sfruttano questo principio: la psicoanalisi, l'istituzione della confessione nella religione cattolica, fino al semplice sfogo con i propri cari. In una recente conferenza Eric Kandel , da sempre interessato alla psicoanalisi, puntualizzava che essa non puó affermare di far ricorso a metodi scientifici perché manca qualunque procedura di controllo. La critica era questa: come si puó essere sicuri che l'apparato teorico dei metodi psicoanalitici abbia effetti diversi da quelli di una serie di semplici chiacchierate?
Penso sarebbe riduttivo pensare al comportamento di "storicizzazione" umano come a uno strumento di riferimento di fatti. Ne sia prova che il contenuto comunicato é una mistificazione dei fatti che esalta il conflitto. La nostra vita é fatta per lo piú di cose comuni che non trovano posto nei racconti! La prima volta che ho letto Dostoevskij sono stato stupito, prima che dal suo profondo intuito psicologico, dall'esuberante romanticismo dei suoi personaggi. Ancor piú eclatante, a mio parere, é il fatto che sia cosí difficile trovare in letteratura il sentimento della serenitá. È un fatto: anche nei piú illuminati scritti di santi e asceti di ogni sorta si riesce a partecipare con minor immediatezza dei sentimenti positivi espressi.
Solano, nel medesimo libro, parla di una definizione positiva della salute, nella quale il sano non é il non-malato. Anche la serenitá viene solitamente definita in senso negativo, come "mancanza di dolore".
Dal livello di minime reti neurali in su, il valore adattativo della memoria si riferisce all'evitamento a priori del pericolo o del dolore. Non cosí per il soddisfacimento positivo: se il topolino non ha fame non mangia, di norma (fa eccezione l'autostimolazione dopaminergica in condizioni sperimentali, lungi dal riflettere circostanze naturali nello sviluppo). Ma a prescindere da quanti sforzi si facciano, la sventura giunge prima o poi! Una delle varie difese che possono aversi é la trasformazione del vissuto in storia. Le storie sono anche strumento per guadagnare insight sulla propria o altrui condizione (2). Sebbene internamente generata, la storia diviene oggetto sociale e soggetto di influenza sociale. Le mie conclusioni:
a) la genesi della storia affonda le sue radici nella memoria episodica (approfondiró in un post apposito) e ne mantiene le forme;
b) il massimo potere comunicativo di una storia non consiste nel massimo riflettere i fatti a cui si riferisce, quanto piuttosto nel massimo contenuto sociale (emozioni, valori condivisi, immagine);
c) corollario: una buona storia mette il destinatario in condizioni di confrontare la storia stessa con il proprio sistema di memoria episodica, consentendogli di "immedesimarsi". Pertanto le caratteristiche della buona storia sono le stesse che regolano la memorizzazione dichiarativa: selezione del materiale, conflitto, valenza emotiva, esagerazione;
d) l'estetica letteraria si basa sui criteri di soluzione di conflitti interiori. Cioé un racconto ci piace in quanto risulta funzionale a dipanare conflitti;
e) le sensazioni umane che non rientrano negli stilemi del racconto risultano penalizzate. Detto altrimenti, pensare l'evoluzione psichica in termini di successioni di conflitti (alla Freud) non é sufficiente;
f) il racconto scherzoso non fa eccezione: si veda l'analisi di Desmond Morris (3).
Queste osservazioni possono applicarsi allo sviluppo dell'inividuo come a quello della specie.
E Shahrazàd rispose: " Lo farò ben volentieri se me lo concederà questo re cortese. "
Quando il re senti queste parole, non gli dispiacque di ascoltare il racconto di Shahrazàd, anche perché quella notte si sentiva agitato e non aveva voglia di dormire. E Shahrazàd cominciò a raccontare...
Le mille e una notte
Pensate a un romanzo letto di recente. O a un libro, una storia, un film. Trovate in esso uno specchio piú o meno fedele della vita? O un resoconto piú o meno deformato? L'anima del dramma in generale sta nel conflitto, sia che questo chiami in causa Caino e Abele, re e poveracci, il dovere contro la passione di Tristano. Perché? Da cosa nasce anzitutto il racconto, come comportamento umano? Solano (1) sostiene, forte di una rassegna di studi, gli effetti positivi del racconto per iscritto sul benessere psicologico di pazienti sofferenti di varie patologie. Gli effetti di pochi minuti al giorno di scrittura che implicasse contenuti emotivi profondi risultavano impressionanti. Questi scritti prendevano gradualmente la forma di una storia, passando da un cronaca le prime volte che i soggetti si cimentavano, per poi divenire sempre piú intimi e piú espliciti. Viene subito da pensare agli approcci teurapeutici che sfruttano questo principio: la psicoanalisi, l'istituzione della confessione nella religione cattolica, fino al semplice sfogo con i propri cari. In una recente conferenza Eric Kandel , da sempre interessato alla psicoanalisi, puntualizzava che essa non puó affermare di far ricorso a metodi scientifici perché manca qualunque procedura di controllo. La critica era questa: come si puó essere sicuri che l'apparato teorico dei metodi psicoanalitici abbia effetti diversi da quelli di una serie di semplici chiacchierate?
Penso sarebbe riduttivo pensare al comportamento di "storicizzazione" umano come a uno strumento di riferimento di fatti. Ne sia prova che il contenuto comunicato é una mistificazione dei fatti che esalta il conflitto. La nostra vita é fatta per lo piú di cose comuni che non trovano posto nei racconti! La prima volta che ho letto Dostoevskij sono stato stupito, prima che dal suo profondo intuito psicologico, dall'esuberante romanticismo dei suoi personaggi. Ancor piú eclatante, a mio parere, é il fatto che sia cosí difficile trovare in letteratura il sentimento della serenitá. È un fatto: anche nei piú illuminati scritti di santi e asceti di ogni sorta si riesce a partecipare con minor immediatezza dei sentimenti positivi espressi.
Solano, nel medesimo libro, parla di una definizione positiva della salute, nella quale il sano non é il non-malato. Anche la serenitá viene solitamente definita in senso negativo, come "mancanza di dolore".
Dal livello di minime reti neurali in su, il valore adattativo della memoria si riferisce all'evitamento a priori del pericolo o del dolore. Non cosí per il soddisfacimento positivo: se il topolino non ha fame non mangia, di norma (fa eccezione l'autostimolazione dopaminergica in condizioni sperimentali, lungi dal riflettere circostanze naturali nello sviluppo). Ma a prescindere da quanti sforzi si facciano, la sventura giunge prima o poi! Una delle varie difese che possono aversi é la trasformazione del vissuto in storia. Le storie sono anche strumento per guadagnare insight sulla propria o altrui condizione (2). Sebbene internamente generata, la storia diviene oggetto sociale e soggetto di influenza sociale. Le mie conclusioni:
a) la genesi della storia affonda le sue radici nella memoria episodica (approfondiró in un post apposito) e ne mantiene le forme;
b) il massimo potere comunicativo di una storia non consiste nel massimo riflettere i fatti a cui si riferisce, quanto piuttosto nel massimo contenuto sociale (emozioni, valori condivisi, immagine);
c) corollario: una buona storia mette il destinatario in condizioni di confrontare la storia stessa con il proprio sistema di memoria episodica, consentendogli di "immedesimarsi". Pertanto le caratteristiche della buona storia sono le stesse che regolano la memorizzazione dichiarativa: selezione del materiale, conflitto, valenza emotiva, esagerazione;
d) l'estetica letteraria si basa sui criteri di soluzione di conflitti interiori. Cioé un racconto ci piace in quanto risulta funzionale a dipanare conflitti;
e) le sensazioni umane che non rientrano negli stilemi del racconto risultano penalizzate. Detto altrimenti, pensare l'evoluzione psichica in termini di successioni di conflitti (alla Freud) non é sufficiente;
f) il racconto scherzoso non fa eccezione: si veda l'analisi di Desmond Morris (3).
Queste osservazioni possono applicarsi allo sviluppo dell'inividuo come a quello della specie.
domenica 18 maggio 2008
Metafore stellari
Tutti li vogliono, tutti li boicottano. Sono i superstar, cioè quei tipi psicologici che spesso sono appositamente selezionati dalle organizzazioni, ma che al contempo si trovano a subire, a causa della loro elevata efficienza, socialità e creatività, invidie e ostacoli da parte di capi e colleghi. Le strategie giocate contro di loro - spesso attraverso dinamiche inconsce - sono la reazione antielitaria (interferenze e boicottaggi da parte dei colleghi), la magia del management (il capo che si "libera" della superstar scomoda negandone la necessità e isolandola) e la caccia al colpevole (se non si risolve un problema, invece di ragionare sul'effettiva capacità di affrontarlo si a cercare quel qualcosa o "qualcuno" che l'ha fatto andar storto, per dimostrare ancora una volta che la superstar non era necessaria).
Ci sono però diversi tipi di superstar. Quelli "veri" si configurano come eccellenze mature e sane, altri sono distorsioni in negativo dell'eccellenza, rappresentando una sorta di superiorità nevrotica. Per loro Allcorn propone delle interessanti metafore astronomiche.
Per il tipo Pulsar la superiorità è una forma di rivincita. La stella dal battito intermittente è stata scelta per simboleggiarne l'implosione. Orgoglioso quando non arrogante, così autocentrato da esser sempre convinto di essere dalla parte della ragione, è continuamente in competizione con gli altri. Nei racconti di vita dei Pulsar ritroviamo una "figura paterna autoritaria e punitiva, critica e svalutativa", addirittura rifiutante ed escludente, che porta l'individuo ad assumere la logica del "vincitore-perdente", segretamente in attesa di ripagare gli altri con la stessa moneta. Una ricerca del successo che avviene attraverso il conflitto, che porta l'individuo, nell'ambito lavorativo, atteggiarsi in modo paternalistico-manipolativo, intransigente al massimo verso chi non ne riconosce la superiorità.
Il perfezionismo è il "marchio" del Supernova: l'espolsione di enorme potenza della stella rimanda ai risultati ineccepibili che questo tipo intende garantire. E li garantisce attraverso un'incredibile zelo, e il continuo controllo di sè e degli altri. Il vissuto di questi soggetti è stato solitamente segnato da figure parentali che li oberavano di richieste al di là delle loro effettive possibilità. Cosa che li porta adesso a enormi sacrifici - "impagabili" - a livello lavorativo: nessuna forma di gratitudine è per loro mai abbastanza. La mancata approvazione del suo lavoro espone il Supernova ad una crisi esplosiva, che tratterrà difficilmente irritabilità, ostilità e collera e porterà all'accumulo di compitisempre più difficili e impegnativi, con conseguente dilatazione dei tempi di laoro.
Il Buco Nero esprime la sua superiorità attraverso il ritiro. E' una metafora complessa, che indica contemporaneamente un'energia potentisima e una "regione oscura e incognita". Questi soggetti soffrono moltissimo della dinamica dipendenza/indipendenza: a loro non importa veramente dimostrare la propria superiorità, ma "dominare completamente la propria superiorità", sottraendola al dominio, controllo o utilizzo altrui (ragion pr cui non riescono a lavorare in situazioni che implicano "intrusioni" da parte di terzi o limitano la loro capacità di controllo). Nel vissuto di queste persone timorose dalla strumentalizazione ci sono figure genitoriali esasperatamente soffocanti, possessive e soverchianti, accettabili solo attraverso l'interiorizzazione; l'unico modo per pareggiare i conti è allora "riprendersi", in maniera atrettanto pervasiva, il controllo di sè e della situazione (non senza un vissuto di colpevolizazione tipico di chi si "sottrae al controllo").
La Gigante Rossa è scelta come metafora del narciso: un individuo così insicuro delle proprie doti e capacità, colle quali vorrebbe sempre stupire gli altri ed essere sempre al centro dell'attenzione. Per questo cerca di dimostrare che le sue prestazioni sono frutto di doti "naturali", di "doni" particolarissimi; la caratteristica tipica della stella, l'aver cioè uno spello involucro gassoso che la circonda gonfiandone oltremodo le dimensioni rende benissimo l'idea del lavoro di fantasia di un sè "grandioso e debordante", che non teme ma anzi desidera l'invidia altrui. La ferita narcisistica subita in passato da questi individui, cresciuti con figure parentali lontane e "distratte", viene curata adesso attraverso la rivalsa. Il soggetto, che ha un esasperato bisogno di contare su una grande quantità di relazioni sociali, cerca di controllarne manipolativamente l'approvazione, e a tal fine cerca di assumersi, in ambito lavorativo, compiti se possibile sempre più gravosi se non impossibili.
La Nana Bianca, la piccola stella prossima a spegnersi, rappresenta infine il profilo della dipendenza. Non vuole assolutamente eser notata per la propria superiorità, che viene invece deflazionata normalizzata e restituita agli altri. Il suo problema è la sostanziale incredulutà dinanzi alle proprie capacità. Il tipo Nana Bianca in questo modo evita - cortesemente - non solo i contrasti e le invidie, ma anche l'assunzione di grandi responsabilità. Il vissuto depressivo delle proprie capacità è solitamente riconducibile, per questi casi, a figure di riferimento fredde in conseguenza, per così dire, di una certa loro superiorità che, ereditata dal Nana Bianca, l'ha esposto a un peso eccessivo e alla dipendenza - di cui non si riesce a liberare - da quelle stesse figure. Incapace di essere sè stesso, questa tipologia di lavoratore è vocato all'invisibilità: servizio, collaborazione non competitiva, sostegno senza imposizione, rsponsabilità senza autocentratura.
Ci sarebbero poi altri "tipi minori": il superstar-neutrino, il superstar-vento solare, il superstar-sistema stellare binario...
Il consiglio è, per chi si occupa di selezionare il personale, di imparare a identificarli e, se già presenti nell'organizzazione, a distribuirli. La loro compresenza in ufficio porterebbe probabilmente a delle Guerre Stellari !!!!!
[Per saperne di più, leggete La vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di lavoro di Gian Piero Quaglino (Cortina Raffaello Editore, 2004, per questo argomento in particolare il Cap. 8) o, se avete poco tempo, date un'occhiata a questa presentazione ]
Ci sono però diversi tipi di superstar. Quelli "veri" si configurano come eccellenze mature e sane, altri sono distorsioni in negativo dell'eccellenza, rappresentando una sorta di superiorità nevrotica. Per loro Allcorn propone delle interessanti metafore astronomiche.
Per il tipo Pulsar la superiorità è una forma di rivincita. La stella dal battito intermittente è stata scelta per simboleggiarne l'implosione. Orgoglioso quando non arrogante, così autocentrato da esser sempre convinto di essere dalla parte della ragione, è continuamente in competizione con gli altri. Nei racconti di vita dei Pulsar ritroviamo una "figura paterna autoritaria e punitiva, critica e svalutativa", addirittura rifiutante ed escludente, che porta l'individuo ad assumere la logica del "vincitore-perdente", segretamente in attesa di ripagare gli altri con la stessa moneta. Una ricerca del successo che avviene attraverso il conflitto, che porta l'individuo, nell'ambito lavorativo, atteggiarsi in modo paternalistico-manipolativo, intransigente al massimo verso chi non ne riconosce la superiorità.
Il perfezionismo è il "marchio" del Supernova: l'espolsione di enorme potenza della stella rimanda ai risultati ineccepibili che questo tipo intende garantire. E li garantisce attraverso un'incredibile zelo, e il continuo controllo di sè e degli altri. Il vissuto di questi soggetti è stato solitamente segnato da figure parentali che li oberavano di richieste al di là delle loro effettive possibilità. Cosa che li porta adesso a enormi sacrifici - "impagabili" - a livello lavorativo: nessuna forma di gratitudine è per loro mai abbastanza. La mancata approvazione del suo lavoro espone il Supernova ad una crisi esplosiva, che tratterrà difficilmente irritabilità, ostilità e collera e porterà all'accumulo di compitisempre più difficili e impegnativi, con conseguente dilatazione dei tempi di laoro.
Il Buco Nero esprime la sua superiorità attraverso il ritiro. E' una metafora complessa, che indica contemporaneamente un'energia potentisima e una "regione oscura e incognita". Questi soggetti soffrono moltissimo della dinamica dipendenza/indipendenza: a loro non importa veramente dimostrare la propria superiorità, ma "dominare completamente la propria superiorità", sottraendola al dominio, controllo o utilizzo altrui (ragion pr cui non riescono a lavorare in situazioni che implicano "intrusioni" da parte di terzi o limitano la loro capacità di controllo). Nel vissuto di queste persone timorose dalla strumentalizazione ci sono figure genitoriali esasperatamente soffocanti, possessive e soverchianti, accettabili solo attraverso l'interiorizzazione; l'unico modo per pareggiare i conti è allora "riprendersi", in maniera atrettanto pervasiva, il controllo di sè e della situazione (non senza un vissuto di colpevolizazione tipico di chi si "sottrae al controllo").
La Gigante Rossa è scelta come metafora del narciso: un individuo così insicuro delle proprie doti e capacità, colle quali vorrebbe sempre stupire gli altri ed essere sempre al centro dell'attenzione. Per questo cerca di dimostrare che le sue prestazioni sono frutto di doti "naturali", di "doni" particolarissimi; la caratteristica tipica della stella, l'aver cioè uno spello involucro gassoso che la circonda gonfiandone oltremodo le dimensioni rende benissimo l'idea del lavoro di fantasia di un sè "grandioso e debordante", che non teme ma anzi desidera l'invidia altrui. La ferita narcisistica subita in passato da questi individui, cresciuti con figure parentali lontane e "distratte", viene curata adesso attraverso la rivalsa. Il soggetto, che ha un esasperato bisogno di contare su una grande quantità di relazioni sociali, cerca di controllarne manipolativamente l'approvazione, e a tal fine cerca di assumersi, in ambito lavorativo, compiti se possibile sempre più gravosi se non impossibili.
La Nana Bianca, la piccola stella prossima a spegnersi, rappresenta infine il profilo della dipendenza. Non vuole assolutamente eser notata per la propria superiorità, che viene invece deflazionata normalizzata e restituita agli altri. Il suo problema è la sostanziale incredulutà dinanzi alle proprie capacità. Il tipo Nana Bianca in questo modo evita - cortesemente - non solo i contrasti e le invidie, ma anche l'assunzione di grandi responsabilità. Il vissuto depressivo delle proprie capacità è solitamente riconducibile, per questi casi, a figure di riferimento fredde in conseguenza, per così dire, di una certa loro superiorità che, ereditata dal Nana Bianca, l'ha esposto a un peso eccessivo e alla dipendenza - di cui non si riesce a liberare - da quelle stesse figure. Incapace di essere sè stesso, questa tipologia di lavoratore è vocato all'invisibilità: servizio, collaborazione non competitiva, sostegno senza imposizione, rsponsabilità senza autocentratura.
Ci sarebbero poi altri "tipi minori": il superstar-neutrino, il superstar-vento solare, il superstar-sistema stellare binario...
Il consiglio è, per chi si occupa di selezionare il personale, di imparare a identificarli e, se già presenti nell'organizzazione, a distribuirli. La loro compresenza in ufficio porterebbe probabilmente a delle Guerre Stellari !!!!!
[Per saperne di più, leggete La vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di lavoro di Gian Piero Quaglino (Cortina Raffaello Editore, 2004, per questo argomento in particolare il Cap. 8) o, se avete poco tempo, date un'occhiata a questa presentazione ]
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