giovedì 26 novembre 2009

Correlati neurali I: esempi e introduzione

Molte persone al mondo, spesso motivate da giornali troppo zelanti, pensano che i neuroscienziati siano quasi arrivati ad una comprensione della mente umana. Cosa vorrebbe dire comprensione? Una buona definizione mi pare: "Essere in grado di spiegare, al livello più elementare possibile, come e perche un essere umano si comporta in una data maniera". È abbastanza evidente che per rispondere ad una tale domanda sia necessario sapere preventivamente cosa accade nel cervello di una persona (dato che noi riteniamo il cervello essere l'implementazione della mente) quando essa si comporta in una data maniera. Sappiate, allora, che anche questa domanda è, in gran parte, senza risposta. Però la risposta, se ci fosse, avrebbe un nome altisonante: i correlati neurali. Un ruolo particolare hanno ovviamente i correlati neurali della coscienza.

Vorrei fare alcuni esempi di cosa si sa al livello di neuroni. Come abbiamo spiegato più volte, i neuroni sono cellule la cui attività si esprime tramite brevi scariche elettriche. Noi sappiamo con sicurezza che: ci sono percezioni o azioni che hanno come correlato neurale l'attività aumentata di alcuni neuroni; ci sono percezioni o azioni che hanno come correlato neurale l'attività diminuita di alcuni neuroni; neuroni correlanti con la stessa classe di rappresentazione (forma, colore, odore, movimento) simili sono facili da trovare in zone vicine del cervello; ci sono correlati che non sono l'attività aumentata o diminuità. Vi faccio alcuni esempi:

Attivitá aumentata

Non ve ne accorgete, ma voi muovete in continuazione il punto di fissazione del vostro occhio. Prima di ogni micromovimento, ci sono alcuni neuroni che si attivano.

Attività diminuita

Alcuni neuroni sono più attivi se un oggetto si trova in un punto abbastanza preciso del vostro campo visivo, ma meno attivi del solito se l'oggetto si trova nelle immediate vicinanze. Per saperne di più.

Zone

Neuroni che correlano con la direzione di movimento si trovano tutti in una zona particolare della corteccia visiva. Muovendosi di pochi micrometri, la classe di correlazione cambia.

Correlati diversi

Ci sono neuroni che aumentano solo lievemente la loro attività poco prima di un segnale motorio, mentre la regolarità della loro attività aumenta molto di più.

Questo riguarda il cosa. Ovviamente, sapere come vengono manipolate queste rappresentazioni è ancora molto, ma molto, ma molto al di là di venire. È capire se è possibile ridurre la mente ai suoi correlati neurali è una domanda probabilmente destinata a rimanere per sempre senza risposta.

martedì 10 novembre 2009

Reinforcement learning, parte prima: la ricompensa

Ho partecipato di recente a un convegno in Turchia, al quale era presente, tra gli altri, Allan Collins, il guru della nicotina.
Quando si parla di fumo si va subito alla dipendenza, al consumo di droghe, a come smettere. Ed ecco la prospettiva offerta dal luminare.

La nicotina è un composto agonista dell'aceticolina, un neurotrasmettitore presente nel sistema nervoso centrale e periferico. Normalmente l'aceticolina liberata da un neurone trasmittente si lega al recettore presente sulla superficie del neurone ricevente e scatena una certa risposta, a seconda delle proprietà del recettore. Quando é presente la nicotina, questa si lega al recettore al posto dell'aceticolina, attivandolo: perciò è detta "agonista".

Esistono recettori diversi per lo stesso neurotrasmettitore. Nel caso dell'aceticolina c'é un recettore chiamato "nicotinico", perchè vi si lega la nicotina, e uno chiamato "muscarinico", perché vi si lega la Muscarina. Quest'ultimo non ci interessa al momento.
Il recettore nicotinico é un canale, cioè una proteina con una cavità che, qualora "aperta" dalla giusta chiave, permette il passaggio di molecole responsabili della trasmissione del messaggio.
Il panorama é ancor più vario: ogni canale è costituito da piú subunità, che vengono assemblate per costruire il canale. Il nostro organismo è in grado di fabbricare subunità diverse anche per lo stesso canale, combinandole poi variamente per ottenere canali con proprietà leggermente diverse.

Quando si fuma si attivano indiscriminatamente tutti i canali nicotinici. Alcuni sono responsabili del benessere dato dal fumo per via del loro collegamento con neuroni dopaminergici. Altri canali agiscono nel sistema nervoso periferico procurando dolori di stomaco e altre sensazioni sgradevoli. Quello che in ultima analisi il fumatore ricerca é una po' di dopamina in piú, e per farlo si accolla il rischio di cancro, il sapore amaro della nicotina, le sgradevoli sensazioni intestinali.
Questo è un comportamento appreso: nessuno "nasce fumato".
Si apprende grazie a un particolare circuito che sfrutta la dopamina. Semplificando, una certa azione guida a un rilascio di dopamina nel cervello, e da ciò l'organismo "capisce" che l'azione che ha preceduto il rilascio di dopamina è una cosa buona, ed è bene prendere l'abitudine di compiere questa azione. È un tipo di condizionamento operante. Detto con un esempio, il mio andare in pizzeria é ricompensato da una buona pizza (cibo, rinforzo primario), mi sento bene e ci voglio tornare. Mi costa denaro, quindi devo lavorare per tornare in pizzeria. Lavorando ottengo i soldi necessari a procurarmi la pizza: col tempo il recarsi in pizzeria perde di significato e sposto l'azione decisiva sul lavoro e la ricompensa sul denaro (rinforzo secondario).

Così ragionava Allan Collins: perchè devo fumare e procurarmi inconvenienti per una spremutina di dopamina? Non esiste un farmaco più specifico, che si attacchi solo ai recettori responsabili delle sensazioni positive? Ma certo. Il concetto non é la nicotina, ma la ricompensa. Ebbene, ci sono altre ricompense: il sesso, ad esempio, fornisce col piacere un rinforzo primario. Col tempo questo rinforzo primario può essere parzialmente o interamente sostituito da un bacio, dal parlare con la persona amata, dal vedere la persona amata.

L'amore è il farmaco piú specifico per procurarci il benessere.

martedì 3 novembre 2009

Approccio fenomenologico e stigma.

Ritornavo quasi per caso sulle parole di Vincent, su cui mi ero già fermata a riflettere non troppo tempo fa all'interno di un progetto italonorvegese (ancora in fieri) sulla salute mentale, e non ho potuto fare a meno di riproporvi su un caro vecchio problema metodologico.

Più volte mi sono trovata a condividere gli approcci fenomenologici, sia in psicologia che nelle scienze sociali, convinta del fatto che il lavoro sull'unicità abbia delle corsie preferenziali per la rimozione delle cause dei problemi umani, e che quindi anche una minore standardizzazione metodologica possa meglio ritagliarsi sulle esigenze dell'oggetto di studio senza inficiare le impellenze conoscitive del così detto "scienziato".

Ma giunta ormai a un bivio, alla necessità, cioè, di fare una scelta, mi rendo conto che è proprio dalla definizione classica di studioso che devo partire, se voglio cambiare il punto di vista.
La salute mentale è un ambito decisamente toccante e coinvolgente, perchè, a meno che non si rimanga su un piano estremamente superficiale, ti costringe a guardarti in faccia e comprendere i tuoi fantasmi e pregiudizi, prima ancora di poter "capire" veramente gli altri.
Con un'espressione un tantino weberiana - passatemela... anzi colgo l'occasione per condividere uno dei miei oggetti di venerazione ^_^ - partirei dal fatto che il vero poblema è la comprensione. E - rivelo subito chi è l'assassino - attraverso la comprensione passa e si articola il problema del pregiudizio e quindi dello stigma, e dei sui annessi e connessi.
Ci sono "casi", che non saprei dire se più commuoventi o più fortunati, che hanno espresso il proprio disagio mentale attraverso l'arte. O un qualcosa che la società identificava come tale. Nei loro confronti mi è parso, e potrei citare Van Gogh o Cézanne come casi noti, che il dibattito scientifico abbia più facimente ammesso un approccio fenomenologico al problema. Non solo: nel sentire comune il loro esser diversi pareva un'eventualità con cui ci si deve aspettar di fare i conti quando si è artista.
In altre parole, i grandi artisti aflitti da disagio mentale avevano una chance in più dei loro "equivalenti mentali" (ammesso e non concesso che si possa fare un'equivalenza tra menti... è una semplificazione), una minima riserva inscalfibile di dignità . E l'accesso ad almeno alcuni "rituali sociali" (un esempio italiano può esser la vita di Ligabue).
Ma per tutti i "Vincent" ospedalizzati, trascurati fino a che non resta altra risposta se non il TSO (e per il bene di chi? Del "paziente" o di chi gli sta intorno?), isolati, dimenticati dai familiari, dagli amici, dal welfare, chi è disposto a stare ad ascoltare? Chi si assumerà il ruolo di accoglierne pienamente le istanze, il punto di vista?
Possiamo sperare, immutate le posizioni scientifiche tradizionali (o rinviata la riflessione su quelle che ri-propongono una nuova via, per esempio questa), che gli studiosi deputati a raccogliere le istanze di questi testimoni privilegiati smettano di adattare il contenuto - la vita dei pazienti psichiatrici - al contenitore - la scienza, e capiscano l'importanza di adattare semmai il contenitore al contenuto?
Trent'anni fa un mal canalizzato entusiasmo post-Goffmann portò molti esperti (Basaglia in prima fila per quanto riguardava l' Italia) a ritrattare tutto: riforme a tappeto (anche senza le disponibilità economiche per attuarle), rinegoziazione del rapporto medico-paziente (guardate se vi capita il film-documentario San Clemente, una produzione francese che riuscì a coglier il clima culturale e politico della L.180 per intercessione di Basaglia stesso)... ma nel frattempo la mal disposizione nei confronti degli utenti psichiatrici, la diffidenza sociale, o, per dirla nelle giuste parole, lo stigma, sono davvero venuti meno?
Sicuramente in molti - specialmente i c.d. utenti - avranno pensato che "gli altri" avrebbero finalmente ascoltato le loro ragioni. Dopo tanti anni e tante sperimentazioni, però, la sensazione è che ci sia ancora molta strada da fare e che se il mondo scientifico (quello che a mio avviso ha maggiore responsabilità nel condizionamento ed avvallamento dei pensieri e delle pratiche del senso comune) non cambierà rotta, riprendendo le conclusioni della canzone di McLean, perhaps they never will.