domenica 7 dicembre 2008

Stanchezza mentale

Prendo spunto dalla serie che ha cominciato Bluebeardburns sulle tecniche di apprendimento per compiere un exkursus dai soliti temi computazionali.

Il cervello dissipa circa il 20% dell'energia del nostro corpo. Si è scoperto che la quantità di energia dissipata non dipende da alcun fattore. Se state studiando un'equazione difficilissima di matematica o state imbambolati a fissare il vuoto aspettando l'SMS della vostra bella che anche quest'oggi vi fa penare, questo non interessa nulla al vostro cervello. Lui continua imperterrito a consumare il 20% della vostra energia.

Per prima cosa, deduciamo l'assurdità di portarsi snack e dolciumi vari durante un esame scritto o durante una sessione di studio. Durante quel periodo non avete assolutamente bisogno di più un energia che a casa. Anzi, probabilmente di meno perchè state seduti.

Tuttavia, sappiamo bene di avere una sensazione di "stanchezza mentale" dopo aver studiato a lungo. A cosa è dovuta? Questa è una domanda molto interessante per la quale non conosco una risposta. Vi trasmetto le mie riflessioni.

- Sicuramente non è dovuta a qualche motivo fisiologico: dato che i neuroni non lavorano di più nel vostro cervello, o per lo meno, non sensibilmente di più, è difficile affermare che possa avvenire un deterioramento delle scorte chimiche degli stessi. Escludiamo quindi che sia un problema chimico o fisico.

- D'altra parte, i vari tipi di memoria che utilizzate hanno una capacità limitata. Per esempio, la "memoria numerica naturale", cioè la quantità di numeri che potete ricordare in ordine avendoli sentiti una sola volta (senza usare mnemotecniche) è simile per tutti, e varia fra i 5 e i 7 numeri. Questo è anche il motivo per cui i numeri telefonici hanno fra le 5 e le 7 cifre.

- Si può supporre, allora, che mentre studiate le funzioni analitiche, caricate la vostra memoria primaria con un concetto dopo l'altro. Ad un certo punto, raggiungete la capacità massima di concetti che può contenere, e il vostro cervello vi avvisa che siete al limite della capacità. Questa potrebbe essere la "stanchezza mentale"

La prossima è un'osservazione più elaborata. Se avete caricato un concetto nella vostra memoria primaria e fate qualche esercizio, allora il concetto incomincia a filtrare della vostra memoria primaria al vostro disco rigido. Incominciate a sviluppare un'abilità, una padronanza inconscia delle funzioni analitiche. A questo punto, la strategia giusta è fermarsi e pulire la vostra memoria primaria prima di fare esercizi su di un altro concetto. In questa maniera avrete i vantaggi dell'aver fatto gli esercizi, senza gli svantaggi della stanchezza mentale. Si, ma come?

Supponiamo che la vostra memoria primaria possa contenere concetti (o istruzioni) di un solo tipo alla volta. Matematici, o motori, o sessuali, etc... Sembra ragionevole: se sto facendo matematica, difficilmente potrò contemporaneamente fare volteggi da equilibrista. Al contrario, mi riuscirà semplice passare ad un altro tipo di attività matematicha

Se questa assunzione è vera, allora il metodo di pulizia della memoria primaria è chiaro. Per un breve periodo facciamo qualcosa di completamente diverso, in maniera da svuotare la memoria primaria è caricarla con nuovo materiale. Dopodichè torniamo all'occupazione precedente. Dato che stiamo cambiando tipo di attività,la memoria primaria viene svuotata e ricaricata, e possiamo passare ad occuparci delle funzioni meromorfe, senza provare la stanchezza di aver studiato quelle analitiche.

La cosa bella è che questo è esattamente il metodo che si è soliti usare intuitivamente: fare una pausa e pensate ad altro, o farsi una chiacchierata con un amico. Il limite di questo metodo è che così abbassate solo il livello di concentrazione, ma non avete pulito la vostra memoria primaria. Per fare questo dovete momentaneamente fare qualcosa di diverso che richieda attenzione.

Quando ho fatto il mio corso di lettura fotografica, utilizzavamo questa tecnica: fra un'unità di studio e un'altra facevamo piccoli esercizi di giocoleria. Essi richiedevano una grande attenzione e concentrazione, ma di tipo motorio. In questa maniera, la memoria primaria veniva ripulita e caricata, e potevano riprendere a studiare con rinnovato vigore.

Da allora utilizzo questo metodo con tutti i miei studenti di ripetizioni. 30 minuti matematica - 5 minuti a giocare con le palline. L'aumento della capacità di concentrazione è incredibile, provate su voi stessi per credere.

domenica 26 ottobre 2008

Neuroni di vetro

This award will be presented for outstanding contributions to the advancement of the design, practice, techniques or theory in biologically and linguistically motivated computational paradigms including but not limited to neural networks, connectionist systems, evolutionary computation, fuzzy systems, and hybrid intelligent systems in which these paradigms are contained.

IEEE Frank Rosenblatt Award


Chi è Frank Rosenblatt? Dato che sono contrario alla personalizzazione della scienza e alla mitizzazione dei suoi protagonisti, riformulo la domanda. Cosa ha fatto Frank Rosenblatt? É semplice: Frank Rosenblatt ha inventato il perceptron. Cos'è il perceptron? É la madre di tutte le reti neurali artificiali

Chiusa questa drammatica introduzione, posso incominciare col tema vero e proprio, che è la continuazione di questo post.

Allora vedemmo che le equazioni che governano la generazione e la trasmissione dei potenziali d'azione in una cellula nervosa sono le equazioni di Hodgkin-Huxley. Queste formano un sistema di equazioni in cui una equazione non lineare alle derivate parziali è accoppiata ad un sistema di equazioni ordinarie non lineari. Un casino.

Fino a quando non ci si accorse che, approssimando un po', quello che fa un neurone è la seguente operazione.

1) Pesa gli input che riceve sotto forma di potenziali d'azione.
2) Somma questi input pesati e confronta la somma con una soglia.
3) Se la somma supera la soglia, genera un potenziale d'azione come output.
4) Trasmette l'output con una forma e velocità standard ai neuroni con cui è connesso sinapticamente.

Questa astrazione del funzionamente di un neurone è noto come perceptron, ed è un paradigma in grado di risolvere vari problemi.

In particolare, dato che le operazioni da svolgere sono molto semplici e avvengono in tempo discreto, a differenza delle equazioni continue di Hodgkin-Huxley, questo modello è molto più facile, e soprattutto più veloce, da simulare in un computer. Perchè è bello che venga simulata più velocemente da un computer? Perchè in questa maniera è possibile simulare in un computer un'intera rete di tali perceptron, tutti collegati gli uni con gli altri, che vanno a formare una primitiva rete neurale. Queste primitive rete neurali possono essere programmate e istruite per ogni sorta di funzioni.

D'altra parte, queste reti neurali artificiali hanno anche interessantissime proprietà matematiche; in particolare se si inserisce del rumore nella loro dinamica. In questo caso diventano delle catene di Markov molto grandi e complesse che riescono a riprodurre molte delle caratteristiche delle reti neurali biologiche.

Torniamo adesso al concetto di collasso che avevo formulato qualche tempo fa. Tutte questi fenomeni e teorie di cui ho parlato, cioè la modellazione di neuroni, la costruzione di reti neurali artificiali, l'analisi di reti neurali matematiche sono andate a caricare il termine neurone di una serie di significati che travalicano quello originario prettamente biologico; parlate di un neurone ai neuroinformatici. Essi interpreteranno il termine da un punto di vista informatico-matematico, e non da quello biologico.

Alla fine, tutte queste teorie si sono fuse e hanno dato, o meglio: stanno dando, origine ad una disciplina nuova, ancora in via di definizione: le neuroscienze computazionali.

sabato 4 ottobre 2008

Apprendimento e memoria I : Tecniche 1. Memotecniche

Queste tecniche permettono di memorizzare con rapiditá ed efficienza elenchi di parole, numeri, immagini, parti di un discorso. Come funziona e soprattutto come é possibile che ciascuno non lo faccia in automatico?
In realtá noi lo facciamo in automatico. Semplificando, diciamo che la natura ci ha messo a disposizione due tecniche per apprendere dal mondo che ci circonda: una, lenta e basata sulla ripetizione, la destiniamo comunemente ai fatti neutri, ad esempio il significato delle parole o la storia del mondo; l'altra, rapida e basata su associazioni, ai fatti autobiografici, che neutri forse lo saranno per gli altri, ma non per noi!! Piú in generale, questa seconda forma di apprendimento memorizza gli episodi, che per definizione ricorrono una volta sola o poche volte, mentre la storia e la geografia sono sempre quelle e ricorrono in continuazione nel corso degli studi. La prima é chiamata memoria semantica, la seconda memoria episodica.
L'obiettivo che tutte le tecniche di memoria si pongono é insegnarvi a usare con metodo la memoria episodica per apprendere materiale semantico.
Questo é il motivo per cui bastano 2 giorni a impararlo: é qualcosa che sappiamo giá fare! Molto tempo in piú e una notevole disciplina serve per modificare le vostre abitudini: ecco perché molti partecipano a questi corsi e non ne traggono il beneficio sperato. Per inciso, questo é il motivo per cui ritengo il prezzo sovradimensionato: é sufficiente un'ora per dimostrarle tutte, il resto é pratica.

Andiamo nello specifico.

La prima cosa che si impara é come apprendere un elenco di parole slegate tra di loro. Nel caso piú semplice si tratta di nomi di oggetti: computer, penna, albero, finestra, bottiglia, etc, fino, poniamo, a venti. È possibile imparare questi oggetti ripetendoli, come si faceva quando imparavamo a memoria le poesie per la scuola; ma serve un sacco di tempo, é noioso e inefficace. Se, invece, si visualizza ogni oggetto e si compone una storia che li leghi, il risultato é garantito, duraturo e velocissimo: anche la prima volta che si tenta si impiegano solo dieci minuti! È importante che ciascun oggetto sia rappresentato in modo visivamente efficace, con colori, movimento, inconsuetudine, impatto emotivo. Queste sono, infatti, le caratteristiche che attraggono la memoria episodica come la luce le falene! Per esempio, un computer rosa grasso e depresso si innamora di una minuscola ed elegante penna che danza il flamenco sotto un albero dalle foglie blu, etc etc.
Una volta memorizzata questa trama, la si ripete a intervalli regolari, fino a un massimo di cinque volte, e pian piano la storiella lascia il posto a semplici, spontanei legami tra le parole. Il gioco é fatto.
Qualora le parole siano piú astratte, é necessario ricorrere a qualche trucchetto per renderle visualizzabili, per cui "oratoria" puó diventare una loquace orata che tiene banco dinanzi al Dio del Mare, oppure Cicerone che insegue Catilina in vestaglia - se siete stati ad Arpino, questa immagine é particolarmente efficace ;) Quando vi ci abituate puó diventare un vero passatempo: molte volte memorizzare qualcosa mi ha messo di buon umore, inducendomi a ridere da solo per le storie inventate!
Tutto ció ritorna a enfatizzare il ruolo particolare della "storia" nella mente umana, giá toccato in questo post.
E se invece avete da memorizzare numeri? Un apposito codice di traduzione delle cifre in elementi fonetici vi permette di trasformare i numeri in lettere, le lettere in immagini, le immagini in episodi.
Oppure il vostro studio richiede di distinguere una sezione del midollo allungato da una a livello delle vertebre cervicali? In questo caso una elaborazione dell'immagine aiuterá molto. In particolare si suddivide l'immagine in quadranti, si esamina separatamente ciascun quadrante, si "prende nota" di alcuni particolari, si ripete. Il fatto di guardare ordinatamente ciascun quadrante consente di avere, in pratica, quattro episodi separati di esplorazione oculare, piú o meno quello che accade quando si entra in casa di qualcuno e si esaminano l'ingresso, il soggiorno, il balcone e il bagno separatamente. Ci pensa il cervello a mettere tutto insieme in una mappa.
Un altro modo comune di memorizzare le immagini é riprodurle, metodo che io ho adottato ampiamente. Questo metodo funziona specialmente se si ha la possibilitá, all'esame, di disegnare; quindi va benissimo per le strutture chimiche e le sezioni istologiche, ma non altrettanto bene per discorrere dell'Annunciazione di Leonardo. Il motivo é che qui si cerca di usare la memoria procedurale (da non confondersi con quanto Lap(l)aciano ha definito "procedurale" in questo post: i passaggi matematici consistono dell'applicazione sequenziale di materiale dichiarativo, e non hanno nulla a che fare con la memoria procedurale), ovvero quella che ci consente di andare in bicicletta, e che regola le nostre abitudini. Quanto si trova in questo magazzino mnemonico é assai difficile da dichiarare, ma facile da eseguire.
L'esempio delle stanze é particolarmente azzeccato, poiché giá Cicerone consigliava di impiegare tragitti mentalmente costruiti o rappresentazioni spaziali come quella delle stanze di una casa allo scopo di memorizzare l'ordine dell'orazione da eseguire - egli imparava tutte le sue orazioni a memoria, non avendo PowerPoint! Ci torneró su, ma il motivo per cui gli indizi spaziali sono cosí importanti é che la memoria episodica é appunto l'immagazzinamento di informazione in un contesto spazio-temporale, perció questo tipo di apprendimento si attacca con pervicacia a ogni rappresentazione spaziale.

In chiusura: se la ripetizione é forse la madre dell'apprendimento (memoria semantica), l'associazione ne é il padre (memoria episodica)!

Molto di piú c'é da apprendere sull'apprendimento: nel prossimo numero, le mappe mentali. Al termine della serie un quadro generale.

Apprendimento e memoria I : Tecniche 0. Introduzione

Da tempo vorrei scrivere qualcosa su quello che studio, ma non trovando ispirazione per un approccio sistematico, comincio con qualcosa che mi diverte di piú: proporre spiegazioni del funzionamento delle tecniche di apprendimento alla luce della letteratura specialistica.

Avrete sentito parlare di quei corsi che in due-tre giorni promettono di insegnarvi come studiare impiegando un terzo del tempo al triplo dell'efficienza. Come sempre con la pubblicitá, questo é vero in parte; la buona notizia é che il risultato non dipende da altri che da voi. Io trovo che il costo di questi corsi sia francamente spropositato e che possiate carpirne il piú leggendo libri sul tema, ma se vi interessa un'esperienza coinvolgente che metta in luce nuovi aspetti della vostra mente e potete permettervelo, allora fatelo, perché é entusiasmante.

Prendiamo in esame le memotecniche, le mappe mentali, la lettura rapida e la fotolettura.

mercoledì 1 ottobre 2008

Formati

Da circa due settimane sono diventato l'apprendista stregone di colui che io chiamo "il mago del sotterraneo", un professore di elettrofisiologia in pensione che abita nel sotterraneo del nostro istituto. Quest'uomo ha delle idee meravigliose e profonde, ma ha pubblicato poco in vita sua. Così ho deciso di raccogliere le sue idee prima che sia troppo tardi.

Una delle prime cose su cui lui ha attirato la mia attenzione è questa: quello per cui i neuroni si distinguono, fra tutte le cellule che compongono gli esseri viventi, è la loro uniformità fra l'input e l'output.

Facciamo qualche esempio: le cellule muscolari hanno come input impulsi elettrici e come output energia meccanica. Molte cellule sono specializzate nell'elaborazione chimica di sostanze: come input hanno certe sostanze, come output delle altre sostanze. Le cellule della retina convertono i segnali luminosi in impulsi elettrici.

I neuroni no. I neuroni hanno come input e output impulsi elettrici. Questa essenziale inutilità del neurone lo rende, da un certo punto di vista, eccezionalmente flessibile. Infatti l'identità del formato di input e output rende possibile creare delle reti di neuroni, cosa che con le altre cellule non è possibile.

venerdì 26 settembre 2008

Mente&Cervello, Ottobre 2008, n. 46

Purtroppo é solo un abstract, ma chi é stato interessato da uno dei primi post su questo blog potrebbe gradire questo articolo. Mente & Cervello é un ramo di "Scientific American", in italiano "Le Scienze", di solito vale la spesa.

Buona giornata!

lunedì 25 agosto 2008

Platone e l'informatica

Se, dunque, sempre la verità degli esseri è nella nostra anima, l'anima dovrà essere immortale. Sicché bisogna mettersi con fiducia a ricercare ed a ricordare ciò che attualmente non si sa: questo è infatti ciò che non si ricorda.

Socrate in Menone


Uno degli snodi fondamentali della filosofia occidentale è sicuramente il Menone di Platone. E nel Menone di Platone, uno degli snodi fondamentali è il dialogo con lo schiavo, in cui Socrate porta lo schiavo a derivare la lunghezza della diagonale di un quadrato - più precisamente: lo porta a costruire un quadrato di area doppia rispetto ad un quadrato dato.

L'argomento successivo di Platone, presentato da Socrate, è il seguente: lo schiavo ha dedotto, senza che Socrate gliela esplicitasse, la soluzione del problema. Quindi la soluzione del problema era già in lui. Quindi le idee preesistono l'individuo, e il conoscere equivale al ricordare.

Cambiamo scenario. In informatica si distingue fra due maniere in cui un programma contiene informazioni: dichiarativa o procedurale. Nel primo modus, un'informazione è registrata esplicitamente nel programma. Per esempio, un programma in cui sia registrata una lista di capitali sa, in maniera dichiarativa, che la capitale della Germania è Berlino. Da qualche parte nel programma c'è una funzione e questa funzione contiene come valore della nazione Germania la città Berlino. La maniera procedurale invece è diversa: una calcolatrice sa, in maniera procedurale, che 12 x 12 = 144. Ovviamente questa informazione non è registrata da nessuna parte nella calcolatrice: invece è registrata la maniera in cui ottenere tale risultato.

Trasportando questo ragionamento all'uomo. Io so in maniera dichiarativa che il compleanno di mio fratello è il 27 settembre, e conosco in maniera procedurale i massimi della funzione sin²(x). Ragionando un po', si capisce come i risultati matematici siano spesso registrati in maniera procedurale nella mente.

Se Platone avesse conosciuto o formalizzato questa differenza, avrebbe notato che quello che dimostra Socrate non è la preesistenza delle idee, ma la possibilità umana di accedere alla propria memoria procedurale.

E io aggiungo: questa possibilità tutta umana è, finora, negata ai computer.

venerdì 15 agosto 2008

Piani

"A man's real possesion is his memory. In nothing else is he rich, in nothing else is he poor." ~ Alexander Smith, Dreamthorp

Delle molte ipotesi circa vari aspetti della memoria, prendiamone una recente e fin troppo interessante.
L'ipotesi é di Daniel Schacter, uno dei piú noti studiosi della memoria dal punto di vista neuropsicologico: la memoria gioca un ruolo centrale nella pianificazione delle azioni.
La base ideologica ha a che fare con l'apprendimento: se imparo qualcosa, operazione per cui é necessaria la memoria a lungo termine, posso modificare il mio comportamento in accordo a quanto ho imparato. La base scientifica viene dall'imaging digitale con il quale si é riscontrato che le aree del cervello attive durante la memorizzazione e la pianificazione (o l'immaginazione pura e semplice di scenari futuri) sono largamente sovrapposte. Ulteriore sostegno sperimentale é garantito dall'osservazione che il normale invecchiamento impoverisce tanto la ricchezza e l'accuratezza della memorizzazione, quanto la ricchezza e il dettaglio della pianificazione.
Per giustificare questi dati é stata avanzata l'ipotesi di cui sopra: il futuro si pianifica sfruttando risorse mnemoniche. Ci sono delle alternative, naturalmente: le aree possono contenere popolazioni neuronali distinte con ruoli diversi e la risoluzione dell'imaging non é sufficiente a individuarle (un caso simile si é verificato per le cellule dell'ippocampo); é stato seguito un approccio sperimentale insufficiente a rivelare l'attivazione di alcune aree (es.: la condizione di riposo era inadeguata: con questi processi cognitivi grossolani non é mai facile districarsi. Questa ipotesi é studiata da una mia collega di dipartimento, che ha cambiato approccio, con risultati non entusiasmanti ma neppure trascurabili); ancora, le memorie e i piani condividerebbero un circuito comune, ad esempio quello necessario a creare uno scenario mentale oppure quello del mental time travel (leggete Tulving se volete approfondire). E via discorrendo, con: é nata prima la memoria o il piano? Ci sono legami evolutivi? Come viene determinata la dimensione temporale nel cervello? etc...

Da parte mia vorrei fare un'osservazione di carattere non strettamente cognitivo, quanto piuttosto emozionale/motivazionale. Pensate ai luoghi/tempi di cui avete molte memorie, e paragonateli con quelli che vi hanno lasciato molto poco. Perché vi hanno dato poco? Forse é solo una questione di durata temporale? Forse per via di brutte esperienze? Forse non le avete condivise con nessuno e lentamente questi momenti sono annegati nell'oblio? Forse la vostra attenzione era concentrata altrove, sul lavoro, o su altri problemi?
Qualunque siano i motivi di questa cattiva memorizzazione, forse descriverete quel momento della vostra vita come "vuoto", "poco importante", "grigio", "brutto", o vi sentirete semplicemente derubati. E qui viene la citazione di apertura: non abbiamo che la nostra memoria (immaginate un po' la vita di un amnesico...)
E ora: vorreste tornare in quel momento "grigio"? In quel posto? A quei giorni? Ne avete voglia? Provate nostalgia?
Personalmente, questo si applica ai mesi trascorsi in questa cittá: finora hanno avuto poco da dire. E non é curioso che in assenza di nostalgia non prendano vita neppure aspettative di alcun genere? Serve un passato pieno per avere un futuro pieno? Che sentimento é la nostalgia, che non fa parte di paura, rabbia, disgusto, gioia, insomma delle emozioni basilari? Che ruolo ha nella nostra vita? Come si é evoluto? Quali sono i mattoni cognitivi per l'instaurarsi del benessere? Il modo in cui giudichiamo il passato influenza il futuro? Come? Influiamo sulla nostra felicitá con il nostro raziocinio?
Buone vacanze.

venerdì 4 luglio 2008

Popolazioni neuronali

Prendo spunto dai commenti di Mauriziogato per parlare di un interessante approccio all'idea di popolazione neuronale nell'ambito delle neuroscienze computazionali.

Si parlava del codice neuronale, e se sia possibile dare un senso alla serie di potenziali d'azione che i vari neuroni si scambiano fra loro.

Una maniera per risolvere il problema in una maniera globale, è quella di non considerare i neuroni come entità singole, ma considerare solo l'attività della popolazione neuronale nel suo complesso.

Per fare questo si procede nel modo seguente. Dato che i neuroni sono impacchettati (questo signore è famoso per delle importanti misurazioni nel campo) in maniera compatta nel cervello, si può argomentare che esiste una densità locale di neuroni in ogni punto x del cervello. Questi neuroni saranno attivi con un frequenza di potenziali d'azione media pari a f(x).

In questa maniera abbiamo costruito una funzione, definita su tutti i punti dell'area cerebrale in questione avente come valore la frequenza media dei potenziali d'azione dei neuroni in quel punto. Un tale oggetto si chiama campo neurale.

Quello che è ovviamente interessante e capire qual'è l'evoluzione temporale di questo campo neurale; quindi si assume che questa funzione f dipenda anche dal tempo. Scriviamolo in formule: per ogni punto x dell'area in considerazione e ogni tempo t dell'esperimento in considerazione, la frequenza media dei neuroni in x al momento t è data da f(x,t).

E qua siamo già nel campo dei sistemi dinamici. Per vederlo, si denoti C lo spazio di tutti i possibili pattern spaziali di attivazione, cioè tutte le possibili funzioni f(x). Adesso, per ogni t fissato, la funzione f(-,t) fa parte di C. Quindi, l'evoluzione dell'attività cerebrale può essere facilmente modellata come un sistema dinamico nello spazio C.

La vera sfida è trovare delle leggi dinamiche per queste evoluzioni temporali. L'articolo su Scholarpedia fornisce una breve introduzione.

martedì 24 giugno 2008

Assunzioni e sorprese

La natura ama nascondersi
Eraclito

Quando, da bravi studenti, seguite il vostro corso di Neurobiologia, sembra tutto semplice e ordinato. Ecco alcuni esempi di quello che imparate subito, tutti contenti di poter attribuire nomi, regole e categorie alla Natura (proprio come sta scritto qui):

1. Il cervello ha un 10% di neuroni e il resto sono cellule di supporto, chiamate Cellule della Glia. Ce ne sono di vari tipi, ma essenzialmente nutrono i neuroni, eliminano corpi estranei e il loro unico contributo alle funzioni cerebrali consiste nel rivestire la membrana dei neuroni con un isolante (mielina).

2. Di neuroni ne muoiono parecchi al giorno, ma non ne nasce nessuno: il tessuto cerebrale é infatti privo di cellule staminali.

3. Ogni neurone produce un solo neurotrasmettitore, sebbene sia in grado di interpretare piú segnali.

4. All'interno del neurone l'unica parte di cui preoccuparsi é l'assone, quella lunga propaggine che finisce su un altro neurone. É qui, infatti, che parte l'impulso elettrico.

5. Alla fine dell'assone si trovano le sinapsi, che si occupano di tradurre l'eccitazione di un neurone in un codice chimico. In questo modo altri neuroni possono "leggere" il messaggio e regolarsi di conseguenza.

6. Il messaggio sinaptico viene inviato solo ai neuroni contattati tramite sinapsi.

Ebbene, tutte queste regolette si sono dimostrate false. Qui potete trovare l'ultima violazione del primo principio esposto: le cellule della glia fanno molto di piú di quanto si credesse!
Nascono nuovi neuroni non solo nell'epitelio olfattivo, ma anche nell'ippocampo, e il fenomeno é importante per la memoria (o meglio per l'oblio, magari ne riparleremo).
I neuroni possono produrre, a volte nella stessi sinapsi, piú neurotrasmettitori (uno é in genere un neuromodulatore, cioé ha un effetto piú debole ma piú generale).
Non solo l'assone, ma anche i dendriti e il soma (la parte dove si trova il nucleo) emettono potenziali d'azione.
Le sinapsi chimiche sono le piú diffuse, ma é emerso di recente che quelle elettriche sono molto piú comuni di quanto si credesse e possono essere responsabili dell'attivitá sincrona di grandi popolazioni di neuroni.
Infine, le sostanze rilasciate in una sinapsi possono diffondere e influenzare altri neuroni.

Insomma, un vero casino!

venerdì 20 giugno 2008

Il Morse dei neuroni

Dopo essermi addottorato, ho finalmente un po' di tempo per scrivere...

Avrete sentito mille volte negli ultimi anni annunci sui neuroni specchio (o simili, non è questo il punto adesso) e su come si attivano in risposta a delle sollecitazioni. Quello che non viene mai spiegato negli articoli divulgativi è il significato di questo termine: "attivato". E soprattutto non si spiega come si arriva a stabilire che un neurone è più attivo in certi momenti che in altri.

Esaminiamo più da vicino come comunicano i neuroni fra loro. Immaginiamo di impiantare degli elettrodi in un cervello, e di esaminare l'attività elettrica registrata, di solito tramite questa tecnica.

Quello che si osserva sono una serie di variazioni standardizzate del potenziale elettrico molto ampie e molto brevi, i cosiddetti potenziali d'azione. Quindi nell'assunzione (che non è un'ipotesi!) che il codice dei neuroni sia elettrico, si deduce che ciò che i neuroni si comunicano siano i tempi di tali potenziali d'azione.

È come se i neuroni, a intervalli più o meno, si lanciassero dei brevi segnali luminosi.

Uno dei problemi difficilissimi delle neuroscienze computazionali è quello, pertanto, di interpretare questi segnali luminosi. Riassumiamo il problema: si infilano degli elettrodi nel cervello e si registrano un certo numero di neuroni. Poi per ogni neurone si disegna un diagramma in cui su un asse c'è il tempo, e sull'altro si disegna una striscia nera nel punto corrispondente al momento in cui si è registrato un segnale: qui un esempio. Dopo aver fatto queste registrazioni, bisogna interpretare questo bizzarro codice Morse.

Ed è esattamente in questo momento che l'elettrofisiologo lascia il campo al neuroscienziato computazionale...

[...continua in una prossima puntata e si riassocia alla storia del neurone...]

venerdì 13 giugno 2008

Gusto personale versus sensibilità

Non so se è una moda bizzarra scoppiata solo dalle mie parti, ma pare che nell'allestire locali destinati all'uso pubblico vada molto, per "decorare" le pareti, Van Gogh: il pittore della disperazione!
Ora a mio umilissimo avviso prima di piazzare un quadro o un altro in un luogo pubblico bisognerebbe davvero valutare che funzione ha il locale in questione e che sensazione deve trasmettere alla clientela; e solo dopo questa considerazione scegliere quali autori sono eventualmente più opportuni.
Mi rendo conto del fatto che non tutti han studiato storia dell'arte, e ci mancherebbe; però certe cose si potrebbero avvertire anche "a pelle" con un pò più di attenzione e sensibilità. Prova vivente ne fu la famosissima Peggy Guggenheim, che non ha mai negato la propria ignoranza in campo artistico ma, con un pò di naso (e molti quattrini!!!) ha messu su alcune tra le più importanti raccolte d'opere d'arte al mondo...
Insomma, che i tratti del pennello di Van Gogh esprimano uno stato d'animo non propriamente sereno mi sembra decisamente evidente!!!!
Comunque, tutto iniziò quando, appeso sopra la testiera di una camera da letto (che dovrebbe favorire il "riposo", o al limite momenti "focosi"... ma mi auguro non sonni convulsi!), vidi Iris; e va beh: han giocato sul richiamo tra il colore dei petali e quello del copriletto. Giocata male, ma la abbuono.
Poi il pub: grande investimento nella nuova, ampia sala con le pareti dipinte di un caldo giallo oro... e, appesa alle stesse: una collezione di stampe dei quadri del buon Vincent. A che clientela è rivolta? A chi beve per dimenticare? O è un monito a non indulgere troppo nei vizi, recuperando la missione sociale del pittore (ma non necessariamente incentivando le entrate del gestore del locale)? Bah. Non capisco. Stavolta, con tutto l'oro che si può vedere nei Girasoli, l'accostamento dei colori come giustificazione non mi convince.
L'unico posto in cui, dopo un iniziale sobbalzo, ho rivalutato la presenza di Campo di grano con corvi - il testamento spirituale dell'autore! - è il Centro per l'impiego: vista l'attuale situazione del mondo del lavoro in Italia, non incoraggiare false speranze mi sembra una prova di (rassegnata) onestà!

giovedì 5 giugno 2008

Matrix

Negli ultimi giorni sono stato al nostro "ritiro spirituale" per neuroscienziati computazionali, e gli organizzatori hanno avuto l'interessante idea di invitare questo professore - che sarebbe anche questo.

Ci ha parlato degli ultimi sviluppi degli interfaccia neurali diretti, cioè di quei congegni tecnologici che, uniti a tecniche di analisi dei dati, sono in grado di decifrare (molto parzialmente) il pensiero e le intenzioni di una persona.

Si spera, ad esempio, di poter utilizzare tali interfaccia per poter comunicare con pazienti in pseudocoma

La cosa che ci ha raccontato è che mentre si stanno avendo (parziali) successi in molti campi, sembra impossibile fino ad ora utilizzare tali macchinari per comunicare con persone in pseudocoma.

Quello che mi ha più colpito è che lui attribuisce la mancanza di successi non ad una teconologia mancante o a tecniche di analisi dei dati carenti, ma ad una incapacità di comprendere la dinamica dell'apprendimento nell'essere umano.

La sua tesi, riassunta in poche parole, è che tali persone non riescono ad apprendere ad utilizzare gli interfaccia neurali perchè hanno disimparato ad imparare, essendo continuamente privi di un meccanismo che faccia loro vedere gli effetti causati dai loro pensieri.

Prima ho mentito: quello che mi ha più colpito è lo straordinario trasporto con cui ha parlato del suo lavoro e dei suoi pazienti.

lunedì 26 maggio 2008

Psicanalisi come scienza - Alcune premesse

Dopo aver invano tentato di realizzare un intervento al contempo esauriente e breve, ho scelto un'altra strada: proporre una soluzione del dilemma relativo alla possibile scientificità della psicanalisi in più puntate; e, non potendo queste essere autoconclusive, per meglio aiutare chi vorrà seguire il discorso pongo alcune premesse.
Innanzitutto, non imposterò l'argomento - almeno all'inizio - ponendo il metodo psicanalitico in relazione a quello delle scienze naturali: questo significherebbe infatti prendere queste ultime come parametro di riferimento, cosa impropria, limitante e riduttiva, per le ragioni che vedremo. Sempre per le ragioni di cui sopra, e per riservarmi poi di recuperare i punti di contatto tra psicanalisi e studi di matrice biologica (e non solo) inerenti la mente umana, rifiuterò di trattare il metodo psicanalitico in contrapposizone alle scienze naturali.
Quanti a priori non sono disposti nemmeno a ipotizzare la scientificità della psicanalisi in virtù della pregiudiziale naturalistica di cui sopra, avran probabilmente già optato per una subordinazione della stessa alle scienze naturali (specialmente per quanto riguarda l'approccio terapeutico in caso di problemi per così dire "gravi"); e, in questo caso, penso che costoro faticheranno a trovare nei miei interventi qualcosa di interessante.
Tuttavia, per non abusare della pazienza di questi ultimi, e di quanti eventualmente fossero sinceramente interessati quantomeno a interrogarsi intorno al problema, anticipo che alternerò gli interventi in materia con interventi di tutt'altro genere e su tutt'altro argomento, sperando così di non appensatire la discussione e dare occasione di riflessione, critica e confronto a quei lettori che, scientifica o no che sia, alla psicanalisi non sono proprio interessati.

sabato 24 maggio 2008

Il collasso cantoriano: breve storia del neurone


Neuron

This article is about cells in the nervous system. For other uses of the term neuron, please see neuron (disambiguation).

Wikipedia

La storia del termine neurone è istruttiva per ciò che ho raccontato la scorsa volta.

Cercherò di spiegare per quali motivi trovo la storia del termine neurone esemplare. Esemplare, intendo, come esempio della nascita di una nuova disciplina a causa del sovraccarico di un termine o di un concetto di una disciplina precedente.

Premetto che affronterò la storia da un punto di vista, per così dire, biologico, e mi disinteresserò di quello informatico. Ad un certo punto sarà necessario ricongiungersi all'informatica, e spiegherò perchè. Ma per ora dimentichiamocene.

Il nostro viaggio comincia nel 1848 quando il biologo Emil du Bois-Reymond, da non confondere con il matematico Paul du Bois-Reymond, suo fratello, scoprì il potenziale d'azione nelle cellule del cervello dette neuroni. Detto brevemente, queste cellule sono interconnese fra loro tramite sottili propaggini dette assoni, sulle quali brevi impulsi elettrici vengono trasmessi dall'una all'altra; tali impulsi elettrici sono detti potenziali d'azione.

Egli scoprì, dunque, che i neuroni comunicano utilizzando un codice simile al Morse, in cui però ci sono solo punti e non linee. Successivamente, nel 1851, il suo amico Hermann von Helmholtz misurò la velocità di tali impulsi elettrici. Poi, per circa un secolo, nulla.

(Non proprio nulla, Bisogna citare almeno due fatti avvenuti all'inizio del XX secolo:
1) Ramon y Cajal scoprì che i neuroni erano interconnessi fra loro e suppose, dunque, che fossero le unità funzionali del sistema nervoso centrale.
2) In risposta a du Bois-Reymond e al suo Ignorabimus, il matematico David Hilbert tuona ad una conferenza nel 1930.)

Comunque sia, un secolo più tardi, siamo negli '50 del XX secolo, Hodgkin e Huxley formulano delle equazioni che descrivono con notevole precisione tale fenomeno.

Qua la nostra storia entra nel vivo. Il problema, ma anche la grande fortuna delle equazioni di Hodgkin-Huxley (d'ora in poi HH per brevità) è la loro incredibile complicatezza. Esse, infatti, sono un sistema di equazioni alle derivate parziali non lineari. In pratica, tutto il peggio che si possa avere, tutto insieme.

Per tentare di capirci qualcosa, si è proceduto a provare diverse semplificazioni, col risultato di sviluppare una serie di sistemi alternativi che usano l'una o l'altra semplificazione, qui e qui due esempi. Ognuna di queste semplificazioni richiederebbe un trattamento a parte, ed è, in verità, oggetto di studio di schiere di scienziati.

Ritorniamo a noi: questa pletora di equazioni e modelli erano tutti tentativi di modellare un solo oggetto: il neurone. Tuttavia, affinchè il collasso sul termine neurone avvenga, abbiamo bisogno di un altro ingrediente: dobbiamo ricongiungerci all'informatica che abbiamo abbandonato all'inizio.

Questo lo faremo la prossima volta...

mercoledì 21 maggio 2008

Il collasso cantoriano

Una questione che mi affascina particolarmente all'interno della scienza è quella del linguaggio; principalmente per motivi privati: trovo appassionante imparare il linguaggio delle nuove comunità scientifiche con cui vengo a contatto.

Fra i meccanismi con cui il linguaggio interno di una comunità scientifica si sviluppa, voglio parlare adesso del collasso. Il termine è coniato da me, quindi non cercatelo su Wiki.

Definizione

Un collasso avviene quando un termine d'uso comune in una comunità scientifica diventa il punto centrale di una teoria. Per dare un criterio pratico, quando quasi ogni articolo di ricerca nella disciplina in questione si riferisce in maniera diretta o indiretta al termine.

Effetti

Cosa succede quando una comunità scientifica collassa su un termine? Un effetto tangibile è che tale disciplina diviene momentaneamente inintelleggibile per gli esterni, dato che il termine in questione viene caricato di numerosi significati diversi, ed eventualmente in contraddizione tra loro.
Inoltre, un tale sovraccarico può preparare uno slittamento di paradigma, per dirla alla Kuhn. Per esprimersi in maniera più semplice: può preludere alla nascita di una nuova disciplina scientifica, non appena sia possibile dare un significato preciso, ma sufficientemente flessibile, al termine sul quale collassa la teoria.

Esempi

Un esempio tratto dalle storia della matematica è quello del termine infinito e della sua definizione precisa dovuta a Cantor: una buona linea di distinzione per la matematica moderna può essere quella fra matematica pre- e postcantoriana.
Dato che qui vogliamo parlare di mente, citerò un esempio dalla neuroscienze computazionali: il termine neurone.

Di più in un prossimo post.

lunedì 19 maggio 2008

Difficile serenitá

" Per Allah, sorella mia, raccontaci una storia che ci faccia passare lietamente la nottata! "
E Shahrazàd rispose: " Lo farò ben volentieri se me lo concederà questo re cortese. "
Quando il re senti queste parole, non gli dispiacque di ascoltare il racconto di Shahrazàd, anche perché quella notte si sentiva agitato e non aveva voglia di dormire. E Shahrazàd cominciò a raccontare...

Le mille e una notte


Pensate a un romanzo letto di recente. O a un libro, una storia, un film. Trovate in esso uno specchio piú o meno fedele della vita? O un resoconto piú o meno deformato? L'anima del dramma in generale sta nel conflitto, sia che questo chiami in causa Caino e Abele, re e poveracci, il dovere contro la passione di Tristano. Perché? Da cosa nasce anzitutto il racconto, come comportamento umano? Solano (1) sostiene, forte di una rassegna di studi, gli effetti positivi del racconto per iscritto sul benessere psicologico di pazienti sofferenti di varie patologie. Gli effetti di pochi minuti al giorno di scrittura che implicasse contenuti emotivi profondi risultavano impressionanti. Questi scritti prendevano gradualmente la forma di una storia, passando da un cronaca le prime volte che i soggetti si cimentavano, per poi divenire sempre piú intimi e piú espliciti. Viene subito da pensare agli approcci teurapeutici che sfruttano questo principio: la psicoanalisi, l'istituzione della confessione nella religione cattolica, fino al semplice sfogo con i propri cari. In una recente conferenza Eric Kandel , da sempre interessato alla psicoanalisi, puntualizzava che essa non puó affermare di far ricorso a metodi scientifici perché manca qualunque procedura di controllo. La critica era questa: come si puó essere sicuri che l'apparato teorico dei metodi psicoanalitici abbia effetti diversi da quelli di una serie di semplici chiacchierate?
Penso sarebbe riduttivo pensare al comportamento di "storicizzazione" umano come a uno strumento di riferimento di fatti. Ne sia prova che il contenuto comunicato é una mistificazione dei fatti che esalta il conflitto. La nostra vita é fatta per lo piú di cose comuni che non trovano posto nei racconti! La prima volta che ho letto Dostoevskij sono stato stupito, prima che dal suo profondo intuito psicologico, dall'esuberante romanticismo dei suoi personaggi. Ancor piú eclatante, a mio parere, é il fatto che sia cosí difficile trovare in letteratura il sentimento della serenitá. È un fatto: anche nei piú illuminati scritti di santi e asceti di ogni sorta si riesce a partecipare con minor immediatezza dei sentimenti positivi espressi.
Solano, nel medesimo libro, parla di una definizione positiva della salute, nella quale il sano non é il non-malato. Anche la serenitá viene solitamente definita in senso negativo, come "mancanza di dolore".
Dal livello di minime reti neurali in su, il valore adattativo della memoria si riferisce all'evitamento a priori del pericolo o del dolore. Non cosí per il soddisfacimento positivo: se il topolino non ha fame non mangia, di norma (fa eccezione l'autostimolazione dopaminergica in condizioni sperimentali, lungi dal riflettere circostanze naturali nello sviluppo). Ma a prescindere da quanti sforzi si facciano, la sventura giunge prima o poi! Una delle varie difese che possono aversi é la trasformazione del vissuto in storia. Le storie sono anche strumento per guadagnare insight sulla propria o altrui condizione (2). Sebbene internamente generata, la storia diviene oggetto sociale e soggetto di influenza sociale. Le mie conclusioni:
a) la genesi della storia affonda le sue radici nella memoria episodica (approfondiró in un post apposito) e ne mantiene le forme;
b) il massimo potere comunicativo di una storia non consiste nel massimo riflettere i fatti a cui si riferisce, quanto piuttosto nel massimo contenuto sociale (emozioni, valori condivisi, immagine);
c) corollario: una buona storia mette il destinatario in condizioni di confrontare la storia stessa con il proprio sistema di memoria episodica, consentendogli di "immedesimarsi". Pertanto le caratteristiche della buona storia sono le stesse che regolano la memorizzazione dichiarativa: selezione del materiale, conflitto, valenza emotiva, esagerazione;
d) l'estetica letteraria si basa sui criteri di soluzione di conflitti interiori. Cioé un racconto ci piace in quanto risulta funzionale a dipanare conflitti;
e) le sensazioni umane che non rientrano negli stilemi del racconto risultano penalizzate. Detto altrimenti, pensare l'evoluzione psichica in termini di successioni di conflitti (alla Freud) non é sufficiente;
f) il racconto scherzoso non fa eccezione: si veda l'analisi di Desmond Morris (3).

Queste osservazioni possono applicarsi allo sviluppo dell'inividuo come a quello della specie.

domenica 18 maggio 2008

Metafore stellari

Tutti li vogliono, tutti li boicottano. Sono i superstar, cioè quei tipi psicologici che spesso sono appositamente selezionati dalle organizzazioni, ma che al contempo si trovano a subire, a causa della loro elevata efficienza, socialità e creatività, invidie e ostacoli da parte di capi e colleghi. Le strategie giocate contro di loro - spesso attraverso dinamiche inconsce - sono la reazione antielitaria (interferenze e boicottaggi da parte dei colleghi), la magia del management (il capo che si "libera" della superstar scomoda negandone la necessità e isolandola) e la caccia al colpevole (se non si risolve un problema, invece di ragionare sul'effettiva capacità di affrontarlo si a cercare quel qualcosa o "qualcuno" che l'ha fatto andar storto, per dimostrare ancora una volta che la superstar non era necessaria).
Ci sono però diversi tipi di superstar. Quelli "veri" si configurano come eccellenze mature e sane, altri sono distorsioni in negativo dell'eccellenza, rappresentando una sorta di superiorità nevrotica. Per loro Allcorn propone delle interessanti metafore astronomiche.
Per il tipo Pulsar la superiorità è una forma di rivincita. La stella dal battito intermittente è stata scelta per simboleggiarne l'implosione. Orgoglioso quando non arrogante, così autocentrato da esser sempre convinto di essere dalla parte della ragione, è continuamente in competizione con gli altri. Nei racconti di vita dei Pulsar ritroviamo una "figura paterna autoritaria e punitiva, critica e svalutativa", addirittura rifiutante ed escludente, che porta l'individuo ad assumere la logica del "vincitore-perdente", segretamente in attesa di ripagare gli altri con la stessa moneta. Una ricerca del successo che avviene attraverso il conflitto, che porta l'individuo, nell'ambito lavorativo, atteggiarsi in modo paternalistico-manipolativo, intransigente al massimo verso chi non ne riconosce la superiorità.
Il perfezionismo è il "marchio" del Supernova: l'espolsione di enorme potenza della stella rimanda ai risultati ineccepibili che questo tipo intende garantire. E li garantisce attraverso un'incredibile zelo, e il continuo controllo di sè e degli altri. Il vissuto di questi soggetti è stato solitamente segnato da figure parentali che li oberavano di richieste al di là delle loro effettive possibilità. Cosa che li porta adesso a enormi sacrifici - "impagabili" - a livello lavorativo: nessuna forma di gratitudine è per loro mai abbastanza. La mancata approvazione del suo lavoro espone il Supernova ad una crisi esplosiva, che tratterrà difficilmente irritabilità, ostilità e collera e porterà all'accumulo di compitisempre più difficili e impegnativi, con conseguente dilatazione dei tempi di laoro.
Il Buco Nero esprime la sua superiorità attraverso il ritiro. E' una metafora complessa, che indica contemporaneamente un'energia potentisima e una "regione oscura e incognita". Questi soggetti soffrono moltissimo della dinamica dipendenza/indipendenza: a loro non importa veramente dimostrare la propria superiorità, ma "dominare completamente la propria superiorità", sottraendola al dominio, controllo o utilizzo altrui (ragion pr cui non riescono a lavorare in situazioni che implicano "intrusioni" da parte di terzi o limitano la loro capacità di controllo). Nel vissuto di queste persone timorose dalla strumentalizazione ci sono figure genitoriali esasperatamente soffocanti, possessive e soverchianti, accettabili solo attraverso l'interiorizzazione; l'unico modo per pareggiare i conti è allora "riprendersi", in maniera atrettanto pervasiva, il controllo di sè e della situazione (non senza un vissuto di colpevolizazione tipico di chi si "sottrae al controllo").
La Gigante Rossa è scelta come metafora del narciso: un individuo così insicuro delle proprie doti e capacità, colle quali vorrebbe sempre stupire gli altri ed essere sempre al centro dell'attenzione. Per questo cerca di dimostrare che le sue prestazioni sono frutto di doti "naturali", di "doni" particolarissimi; la caratteristica tipica della stella, l'aver cioè uno spello involucro gassoso che la circonda gonfiandone oltremodo le dimensioni rende benissimo l'idea del lavoro di fantasia di un sè "grandioso e debordante", che non teme ma anzi desidera l'invidia altrui. La ferita narcisistica subita in passato da questi individui, cresciuti con figure parentali lontane e "distratte", viene curata adesso attraverso la rivalsa. Il soggetto, che ha un esasperato bisogno di contare su una grande quantità di relazioni sociali, cerca di controllarne manipolativamente l'approvazione, e a tal fine cerca di assumersi, in ambito lavorativo, compiti se possibile sempre più gravosi se non impossibili.
La Nana Bianca, la piccola stella prossima a spegnersi, rappresenta infine il profilo della dipendenza. Non vuole assolutamente eser notata per la propria superiorità, che viene invece deflazionata normalizzata e restituita agli altri. Il suo problema è la sostanziale incredulutà dinanzi alle proprie capacità. Il tipo Nana Bianca in questo modo evita - cortesemente - non solo i contrasti e le invidie, ma anche l'assunzione di grandi responsabilità. Il vissuto depressivo delle proprie capacità è solitamente riconducibile, per questi casi, a figure di riferimento fredde in conseguenza, per così dire, di una certa loro superiorità che, ereditata dal Nana Bianca, l'ha esposto a un peso eccessivo e alla dipendenza - di cui non si riesce a liberare - da quelle stesse figure. Incapace di essere sè stesso, questa tipologia di lavoratore è vocato all'invisibilità: servizio, collaborazione non competitiva, sostegno senza imposizione, rsponsabilità senza autocentratura.
Ci sarebbero poi altri "tipi minori": il superstar-neutrino, il superstar-vento solare, il superstar-sistema stellare binario...

Il consiglio è, per chi si occupa di selezionare il personale, di imparare a identificarli e, se già presenti nell'organizzazione, a distribuirli. La loro compresenza in ufficio porterebbe probabilmente a delle Guerre Stellari !!!!!


[Per saperne di più, leggete La vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di lavoro di Gian Piero Quaglino (Cortina Raffaello Editore, 2004, per questo argomento in particolare il Cap. 8) o, se avete poco tempo, date un'occhiata a questa presentazione ]