Negli ultimi giorni sono stato al nostro "ritiro spirituale" per neuroscienziati computazionali, e gli organizzatori hanno avuto l'interessante idea di invitare questo professore - che sarebbe anche questo.
Ci ha parlato degli ultimi sviluppi degli interfaccia neurali diretti, cioè di quei congegni tecnologici che, uniti a tecniche di analisi dei dati, sono in grado di decifrare (molto parzialmente) il pensiero e le intenzioni di una persona.
Si spera, ad esempio, di poter utilizzare tali interfaccia per poter comunicare con pazienti in pseudocoma
La cosa che ci ha raccontato è che mentre si stanno avendo (parziali) successi in molti campi, sembra impossibile fino ad ora utilizzare tali macchinari per comunicare con persone in pseudocoma.
Quello che mi ha più colpito è che lui attribuisce la mancanza di successi non ad una teconologia mancante o a tecniche di analisi dei dati carenti, ma ad una incapacità di comprendere la dinamica dell'apprendimento nell'essere umano.
La sua tesi, riassunta in poche parole, è che tali persone non riescono ad apprendere ad utilizzare gli interfaccia neurali perchè hanno disimparato ad imparare, essendo continuamente privi di un meccanismo che faccia loro vedere gli effetti causati dai loro pensieri.
Prima ho mentito: quello che mi ha più colpito è lo straordinario trasporto con cui ha parlato del suo lavoro e dei suoi pazienti.
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