domenica 14 febbraio 2010

Comprensione di sé (o meglio "Ostacoli alla...")

"...
C'è una cosa che gli Aa sembrano omettere di menzionare quando sei nuovo e completamente fuori di testa dalla disperazione e pronto a eliminare per sempre la tua mappa e ti tocca sentirti dire che le cose andranno sempre meglio se continuerai ad astenerti e darai tempo al tuo corpo di riprendersi : omettono di dirti che il modo per migliorare e stare meglio passa attraverso il dolore. Non intorno al dolore o nonostante il dolore. Questa parte la lasciano fuori, e parlano invece di Gratitudine e di Liberazione dalla Compulsione. Invece si sente molto dolore a stare sobri, e di questo ti accorgi dopo, con il tempo. Poi, quando sei pulito e non desideri le Sostanze più di tanto e hai voglia sia di piangere sia di ridurre in poltiglia qualcuno, gli Aa di Boston cominciano a dirti che sei sulla strada giusta e faresti bene a ricordarti la sofferenza senza scopo di quando eri assuefatto, perché almeno questa sofferenza sobria adesso ha uno scopo. Ti dicono che perlomeno questa sofferenza significa che stai andando da qualche parte, invece di girare all'infinito nella ruota del topolino come quando eri assuefatto.
Tralasciano di dirti che dopo la magica sparizione del bisogno di farsi e sei o otto mesi di fila senza Sostanze, comincerai a «Entrare in Contatto» con il perché avevi cominciato a fare uso delle sostanze. Quando arrivi a questo punto, comincerai a capire come mai eri diventato dipendente da quello che, in fondo, non era che un anestetico. Viene fuori che «Entrare in Contatto con i Tuoi Sentimenti» è un'altra frase fatta che finisce per mascherare qualcosa di orribilmente profondo e reale*. Si scopre che tanto più è insipida la frase fatta degli Aa, tanto più affilati sono i canini della verità vera che nasconde.
...


*Un epigramma più astratto ma più vero che i veterani di sobrietà della Bandiera Bianca a volte preferiscono a questo è: «Non preoccuparti di entrare in contatto con i tuoi sentimenti, saranno loro a contattare te»."
(D.F. Wallace, "Infinite Jest")



Alessitimia
Letteralmente alessitimia sta per "mancanza di parole per le emozioni". I soggetti alessitimici presentano come centrali le seguenti caratteristiche:
"...
- difficoltà a discriminare un'emozione dall'altra, e gli stati somatici dalle emozioni; ...
- difficoltà a comunicare ad altri le proprie emozioni;
- presenza di processi immaginativi coartati, con scarsezza di vita fantasmatica ...;
- presenza di uno stile cognitivo legato allo stimolo, orientato all'esterno ...
..."
(L. Solano, "Tra mente e corpo")



Come sono in relazione tra loro queste due citazioni? Cosa c'entra un romanzo di fantasia con un costrutto psicologico nato nell'ambito dello studio delle patologie psicosomatiche? I collegamenti in realtà sono molteplici, e passano anche attraverso alcuni degli studi e delle teorie di Bion (in particolare quelli sul "pensiero senza pensatore"), nonchè attraverso la conoscenza delle basi di quanto ci è noto sulle emozioni. Ad ogni modo...

...come un po' tutti sappiamo, ogni giorno il nostro cervello si trova a dover conciliare le esigenze della realtà in cui viviamo (il mondo esterno), con quelle del nostro corpo e della nostra mente (il mondo interno). Un esempio: il nostro corpo reagisce a e sposta la nostra attenzione su quella bella ragazza formosa che sta passando proprio davanti a noi per strada; la nostra mente comincia a considerare il modo migliore di approcciarla (o ignorarla magari) tenendo conto delle nostre presenti o meno esperienze pregresse; la realtà esterna si materializza sotto forma di un grande orologio digitale sul palazzo di fronte che ci ricorda il ritardo di mezz'ora con cui ci stiamo dirigendo verso il luogo del nostro prossimo appuntamento.

Cosa succede a questo punto dentro di noi? come cambierebbe la nostra reazione se per esempio la ragazza avesse affianco a sé un affascinante ragazzo? o se noi ci fossimo appena lasciati con la nostra partner? o se la ragazza fosse una perfetta sconosciuta o magari invece una nostra "vecchia fiamma" da tempo persa di vista?

Non esistono risposte univoche a queste domande. A seconda della nostra personalità (vista in un'ottica biopsicosociale) dentro di noi ci potranno essere una molteplicità di reazioni diverse. Ciò che vorrei far rilevare è come nel caso preso per esempio un evento esterno si ripercuota in noi provocando non solo una serie di reazioni di tipo cognitivo (un susseguirsi di pensieri in forma di ragionamenti, o ricordi, o fantasie) ma anche una serie di cambiamenti di tipo fisiologico (ad es. un vago senso di eccitazione) ad un livello più profondo di quello semplicemente corticale. In un'emozione sono sempre implicati questi tre diversi livelli: quello degli eventi inerenti la realtà esterna, quello degli eventi inerenti la realtà interna in forma di cambiamenti fisiologici profondi, e infine quello degli eventi inerenti la realtà interna in forma di risposte ad un livello un po' più astratto, cioè di tipo cognitivo, mentale. Ora, è chiaro che qualunque evento interno di tipo cognitivo o "mentale" ha dei correlati fisiologici nel nostro cervello; quella che voglio qui evidenziare è però la presenza di una differenza tra una reazione più di tipo corticale o per quanto possibile limitata al sistema nervoso centrale, ed una di tipo più interno, non soltanto sottocorticale ma invece inerente tutto il corpo nel senso di modificazioni al sistema endocrino, all'apparato muscoloscheletrico, a quello vascolare, al piano delle risposte immunitarie, etc. (qui però mi serve davvero l'illuminazione delle neuroscienze per sapere quanto questa mia distinzione sia effettivamente fondata), una reazione tanto più presente quanto più la nostra emozione è forte e tra quelle "di base" (ad es. rabbia, paura, tristezza o gioia).

Crescendo, la maggior parte degli individui impara ad integrare i dati che giungono da questi tre diversi livelli in maniera praticamente automatica. Ancora, per eseguire l'integrazione di questi diversi dati si sviluppano tutta una serie di strategie che sono comuni rispetto ai diversi individui presi nel loro insieme ma presenti in una combinazione praticamente unica all'interno di ciascun singolo individuo. E qui attenzione, perché mentre la realtà esterna, l'apparato sensoriale che ci permette di reagire ad essa, e così pure le nostre reazioni emotive di livello profondo, più corporeo, hanno in noi una trama in gran parte già preformata, il nostro livello corticale di gestione degli input di questi due dati è alla nascita per molti versi una tabula rasa. Le invarianze tra i diversi individui che è possibile riscontrare nell'organizzazione a livello corticale ci indicano una nostra parte cognitiva filogeneticamente innata, ma praticamente dal momento della nascita se non prima tra tutte le innumerevoli possibilità di organizzazione cerebrale possibili viene effettuata una selezione continua, un ordinamento incessante che nel tempo porta ad un'organizzazione cerebrale unica per ciascun individuo, anche laddove si partiva da corredi genetici identici (è il caso dei gemelli omozigoti).

Questo processo di organizzazione è comune però a qualunque essere vivente, non solo all'uomo. Cos'è che rende l'organizzazione cerebrale dell'uomo allo stesso tempo così tremendamente complicata e così efficace, tale da permettergli di realizzare tutte le incredibili meraviglie che gli sono proprie? Io sostengo (ok, non senza illustri predecessori, spero ve ne verrà in mente qualcuno), che uno degli strumenti più importanti per l'uomo sia il linguaggio verbale. L'uomo ha sviluppato però una molteplicità di linguaggi, quali ad esempio linguaggi artistici di tipo figurativo o musicale, oppure linguaggi formalizzati quale quello matematico, o linguaggi multimodali quali quelli utilizzati nelle comunicazioni massmediatiche.
E' invece con il linguaggio verbale che cerchiamo nella maggior parte dei casi di ordinare nel modo migliore il gran caos informativo che risulta dalla molteplicità degli eventi quotidiani a cui siamo sottoposti.
Attenzione però: l'uso del linguaggio verbale non ci svela mai la totalità nè del mondo esterno nè del mondo interno. Il linguaggio è uno strumento, e in quanto tale oltre a pregi presenta anche difetti, limiti. Si possono cercare approfondimenti al riguardo negli studi di diversi filosofi, o nelle opere di diversi scrittori, o psicologi, o psicoanalisti (ne cito uno solo, Lacan). Un post di Laplaciano che ho molto apprezzato al riguardo è qui.

Ma cosa fa invece l'uomo quando un po' tutti i linguaggi a lui conosciuti falliscono, e rimane preda di sensazioni per lui almeno momentaneamente estranee e fonte spesso di disagio? Spesso, banalmente, consapevolmente o meno cerca sollievo dal caos o dalla forza di determinate sensazioni in "distrazioni" presso rifugi esterni meno o più validi di vario tipo: nell'uso di sostanze psicoattive, o nella fruizione continua delle più svariate forme di intrattenimento (film, giochi, videogiochi, l'ascolto passivo di una radio o di musica), o nell'assunzione di cibo, o nell'attività sessuale, o nei gesti più diversi ripetuti in maniera compulsiva, o in ordinamenti del caos già preformati quali fedi politiche o religiose o quant'altro, o all'interno di rapporti interpersonali di tipo familire, o amicale, o amoroso.

Tutti questi rifugi ci mettono costantemento al riparo dal o a volte per fortuna ci aiutano nel trovare una risposta alle domande implicite che il nostro caos informativo interno ci pone, o a volte invece direttamente ci prevengono dal far caso alla stessa esistenza di determinate domande.

Come si arriva invece alla comprensione di sé?
Sarebbe molto bello saperlo già, ma invece la strada per la scoperta di sé è estremamente personale e in parte anch'essa da scoprire. Diciamo che di sicuro richiede: un prendere atto di quelli che sono i nostri stati d'animo e le nostre senzazioni per come essi si manifestano nei nostri diversi atti creativi e non di tipo verbale, artistico, o relazionale, o quant'altro. Insomma, per come ce li suggeriamo noi stessi nei più diversi linguaggi. A volte però, prima ancora di poter cercare le risposte alle domande implicite nel nostro caos, dovremo cercare proprio le domande, che ci attendono pazientemente appena fuori i più impensabili rifugi. Indubbiamente, la nostra strada prima o poi dovrà attraversare il caos.

In bocca al lupo