" Per Allah, sorella mia, raccontaci una storia che ci faccia passare lietamente la nottata! "
E Shahrazàd rispose: " Lo farò ben volentieri se me lo concederà questo re cortese. "
Quando il re senti queste parole, non gli dispiacque di ascoltare il racconto di Shahrazàd, anche perché quella notte si sentiva agitato e non aveva voglia di dormire. E Shahrazàd cominciò a raccontare...
Le mille e una notte
Pensate a un romanzo letto di recente. O a un libro, una storia, un film. Trovate in esso uno specchio piú o meno fedele della vita? O un resoconto piú o meno deformato? L'anima del dramma in generale sta nel conflitto, sia che questo chiami in causa Caino e Abele, re e poveracci, il dovere contro la passione di Tristano. Perché? Da cosa nasce anzitutto il racconto, come comportamento umano? Solano (1) sostiene, forte di una rassegna di studi, gli effetti positivi del racconto per iscritto sul benessere psicologico di pazienti sofferenti di varie patologie. Gli effetti di pochi minuti al giorno di scrittura che implicasse contenuti emotivi profondi risultavano impressionanti. Questi scritti prendevano gradualmente la forma di una storia, passando da un cronaca le prime volte che i soggetti si cimentavano, per poi divenire sempre piú intimi e piú espliciti. Viene subito da pensare agli approcci teurapeutici che sfruttano questo principio: la psicoanalisi, l'istituzione della confessione nella religione cattolica, fino al semplice sfogo con i propri cari. In una recente conferenza Eric Kandel , da sempre interessato alla psicoanalisi, puntualizzava che essa non puó affermare di far ricorso a metodi scientifici perché manca qualunque procedura di controllo. La critica era questa: come si puó essere sicuri che l'apparato teorico dei metodi psicoanalitici abbia effetti diversi da quelli di una serie di semplici chiacchierate?
Penso sarebbe riduttivo pensare al comportamento di "storicizzazione" umano come a uno strumento di riferimento di fatti. Ne sia prova che il contenuto comunicato é una mistificazione dei fatti che esalta il conflitto. La nostra vita é fatta per lo piú di cose comuni che non trovano posto nei racconti! La prima volta che ho letto Dostoevskij sono stato stupito, prima che dal suo profondo intuito psicologico, dall'esuberante romanticismo dei suoi personaggi. Ancor piú eclatante, a mio parere, é il fatto che sia cosí difficile trovare in letteratura il sentimento della serenitá. È un fatto: anche nei piú illuminati scritti di santi e asceti di ogni sorta si riesce a partecipare con minor immediatezza dei sentimenti positivi espressi.
Solano, nel medesimo libro, parla di una definizione positiva della salute, nella quale il sano non é il non-malato. Anche la serenitá viene solitamente definita in senso negativo, come "mancanza di dolore".
Dal livello di minime reti neurali in su, il valore adattativo della memoria si riferisce all'evitamento a priori del pericolo o del dolore. Non cosí per il soddisfacimento positivo: se il topolino non ha fame non mangia, di norma (fa eccezione l'autostimolazione dopaminergica in condizioni sperimentali, lungi dal riflettere circostanze naturali nello sviluppo). Ma a prescindere da quanti sforzi si facciano, la sventura giunge prima o poi! Una delle varie difese che possono aversi é la trasformazione del vissuto in storia. Le storie sono anche strumento per guadagnare insight sulla propria o altrui condizione (2). Sebbene internamente generata, la storia diviene oggetto sociale e soggetto di influenza sociale. Le mie conclusioni:
a) la genesi della storia affonda le sue radici nella memoria episodica (approfondiró in un post apposito) e ne mantiene le forme;
b) il massimo potere comunicativo di una storia non consiste nel massimo riflettere i fatti a cui si riferisce, quanto piuttosto nel massimo contenuto sociale (emozioni, valori condivisi, immagine);
c) corollario: una buona storia mette il destinatario in condizioni di confrontare la storia stessa con il proprio sistema di memoria episodica, consentendogli di "immedesimarsi". Pertanto le caratteristiche della buona storia sono le stesse che regolano la memorizzazione dichiarativa: selezione del materiale, conflitto, valenza emotiva, esagerazione;
d) l'estetica letteraria si basa sui criteri di soluzione di conflitti interiori. Cioé un racconto ci piace in quanto risulta funzionale a dipanare conflitti;
e) le sensazioni umane che non rientrano negli stilemi del racconto risultano penalizzate. Detto altrimenti, pensare l'evoluzione psichica in termini di successioni di conflitti (alla Freud) non é sufficiente;
f) il racconto scherzoso non fa eccezione: si veda l'analisi di Desmond Morris (3).
Queste osservazioni possono applicarsi allo sviluppo dell'inividuo come a quello della specie.
E Shahrazàd rispose: " Lo farò ben volentieri se me lo concederà questo re cortese. "
Quando il re senti queste parole, non gli dispiacque di ascoltare il racconto di Shahrazàd, anche perché quella notte si sentiva agitato e non aveva voglia di dormire. E Shahrazàd cominciò a raccontare...
Le mille e una notte
Pensate a un romanzo letto di recente. O a un libro, una storia, un film. Trovate in esso uno specchio piú o meno fedele della vita? O un resoconto piú o meno deformato? L'anima del dramma in generale sta nel conflitto, sia che questo chiami in causa Caino e Abele, re e poveracci, il dovere contro la passione di Tristano. Perché? Da cosa nasce anzitutto il racconto, come comportamento umano? Solano (1) sostiene, forte di una rassegna di studi, gli effetti positivi del racconto per iscritto sul benessere psicologico di pazienti sofferenti di varie patologie. Gli effetti di pochi minuti al giorno di scrittura che implicasse contenuti emotivi profondi risultavano impressionanti. Questi scritti prendevano gradualmente la forma di una storia, passando da un cronaca le prime volte che i soggetti si cimentavano, per poi divenire sempre piú intimi e piú espliciti. Viene subito da pensare agli approcci teurapeutici che sfruttano questo principio: la psicoanalisi, l'istituzione della confessione nella religione cattolica, fino al semplice sfogo con i propri cari. In una recente conferenza Eric Kandel , da sempre interessato alla psicoanalisi, puntualizzava che essa non puó affermare di far ricorso a metodi scientifici perché manca qualunque procedura di controllo. La critica era questa: come si puó essere sicuri che l'apparato teorico dei metodi psicoanalitici abbia effetti diversi da quelli di una serie di semplici chiacchierate?
Penso sarebbe riduttivo pensare al comportamento di "storicizzazione" umano come a uno strumento di riferimento di fatti. Ne sia prova che il contenuto comunicato é una mistificazione dei fatti che esalta il conflitto. La nostra vita é fatta per lo piú di cose comuni che non trovano posto nei racconti! La prima volta che ho letto Dostoevskij sono stato stupito, prima che dal suo profondo intuito psicologico, dall'esuberante romanticismo dei suoi personaggi. Ancor piú eclatante, a mio parere, é il fatto che sia cosí difficile trovare in letteratura il sentimento della serenitá. È un fatto: anche nei piú illuminati scritti di santi e asceti di ogni sorta si riesce a partecipare con minor immediatezza dei sentimenti positivi espressi.
Solano, nel medesimo libro, parla di una definizione positiva della salute, nella quale il sano non é il non-malato. Anche la serenitá viene solitamente definita in senso negativo, come "mancanza di dolore".
Dal livello di minime reti neurali in su, il valore adattativo della memoria si riferisce all'evitamento a priori del pericolo o del dolore. Non cosí per il soddisfacimento positivo: se il topolino non ha fame non mangia, di norma (fa eccezione l'autostimolazione dopaminergica in condizioni sperimentali, lungi dal riflettere circostanze naturali nello sviluppo). Ma a prescindere da quanti sforzi si facciano, la sventura giunge prima o poi! Una delle varie difese che possono aversi é la trasformazione del vissuto in storia. Le storie sono anche strumento per guadagnare insight sulla propria o altrui condizione (2). Sebbene internamente generata, la storia diviene oggetto sociale e soggetto di influenza sociale. Le mie conclusioni:
a) la genesi della storia affonda le sue radici nella memoria episodica (approfondiró in un post apposito) e ne mantiene le forme;
b) il massimo potere comunicativo di una storia non consiste nel massimo riflettere i fatti a cui si riferisce, quanto piuttosto nel massimo contenuto sociale (emozioni, valori condivisi, immagine);
c) corollario: una buona storia mette il destinatario in condizioni di confrontare la storia stessa con il proprio sistema di memoria episodica, consentendogli di "immedesimarsi". Pertanto le caratteristiche della buona storia sono le stesse che regolano la memorizzazione dichiarativa: selezione del materiale, conflitto, valenza emotiva, esagerazione;
d) l'estetica letteraria si basa sui criteri di soluzione di conflitti interiori. Cioé un racconto ci piace in quanto risulta funzionale a dipanare conflitti;
e) le sensazioni umane che non rientrano negli stilemi del racconto risultano penalizzate. Detto altrimenti, pensare l'evoluzione psichica in termini di successioni di conflitti (alla Freud) non é sufficiente;
f) il racconto scherzoso non fa eccezione: si veda l'analisi di Desmond Morris (3).
Queste osservazioni possono applicarsi allo sviluppo dell'inividuo come a quello della specie.
14 commenti:
E' voluto, l'uso di questo font
font-family: webdings;
assolutamente illeggibile?
Carissimo Giulio,
capisco che l'approccio psichiatrico è, tra quelli che si occupano della mente, quello che più si avvicina al metodo delle scienze cosiddette "dure", a te ben note; e per questo forse ti sembrerà più "controllabile", più "sicuro", più "certo". Però psichiatrizzare tutto (cioè: sostituire a tutti gli approcci la psichiatria, o infilarcela "in più" nel dubbio) non va bene: ci sono psichiatri che sostengono di poter indurre o eliminare emozioni di qualunque tipo con l'uso della chimica. Si può in effetti fare, si può scegliere in che misura e per quanto tempo. Ma è questo il senso dell'emozione? Una reazione chimica? L'innamoramento, l'odio, l'ira, l'indifferenza, non preferiremmo pensarli frutti del nostro vissuto, delle nostre esperienze?
Pensa anche ai traumi: lo spichiatra può affievolirli con la chimica. Può. Ma se risaliamo all'origine del trauma, anzi alla definizione stessa di ciò che è trauma, c'è quasi sempre un'imprescindibile radice socio-culturale. Guarda l'incesto: da noi è tabù, ed è traumatico subirlo. Presso altre civiltà - che ormai credo stiano scomparendo sotto l'occidentalizzazione imperante - non è considerato tabù (non in tutti i casi in cui lo consideriamo noi, almeno) e quindi non ne consegue trauma. Lo stesso atto meccanico, la stessa situazione empiricamente verificabile: in un caso è un trauma, nell'altra no.
Quindi riconoscere dignità scientifica alla psichiatria è ovviamente per me fuori discussione, ma porla sul piedistallo come più vicina alla "verità", non sono d'accordo.
Poi, ma questa è un'osservazione nata dalla mia esperienza personale, chiedere ad uno psichiatra cosa ne pensa della psicanalisi è un pò come chiedere ad un'israeliano integralista cosa ne pensa di un palestinese (e viceversa, per carità...) ;-P
Comunque sul problema della "certezza" e del "metodo" torneremo spero in seguito; magari ci farò un post più avanti, sforzandomi di essere coincisa.
Ciao ;-)
Carissima Julie,
non mi pare che il tuo commento sia in tema, ma suppongo tragga spunto dal fatto di Kandel. Ogni tanto ho la sensazione che tu faccia delle tirate ideologiche senza precisa aderenza al testo. Il che suona come una ramanzina fatta alla persona sbagliata :p
Forse sarai lieta di sapere che, diversamente da parecchi miei colleghi :), apprezzo molto l'approccio psicanalitico. Ho letto diverse opere di Freud, tra cui "Totem e tabú", nella quale, per inciso, egli parla estesamente del tabú dell'incesto in varie culture diverse dalla nostra - il che mi porta a chiederti esattamente a quali popolazioni tu ti riferisca.
L'osservazione di Kandel é stata fatta di fronte alla Presidentessa dell'associazione psicolanalitica tedesca, che pur rivendicando - giustamente - l'esperienza e la tradizione accumulata dalla sua disciplina, non ha contestato. Si tratta di una osservazione metodologica. Alcuni metodi sono scientifici, altri no. Alcune ipotesi sono verificabili, altre no. Ci sono inferenze piú o meno valide. Punto. Non c'é da averne paura.
Vicino alla veritá? Penso che i risultati di un esperimento verifichino le ipotesi nel campo di applicabilitá dell'esperimento. In questo senso si avvicinano alla veritá. Ma un esperimento si conduce sempre per fare inferenze su cose non soggette all'esperimento, e il fatto che queste inferenze possano essere ben lontane dalla veritá é provato dal continuo avvicendarsi di ipotesi!! Altre ipotesi, come quella evoluzionista, restano fortissime nonostante l'assenza di prove sperimentali dirette - non si puó replicare in laboratorio come si vorrebbe!
Senza dubbio la societá plasma gli individui, e lo fa tramite la chimica. Alcuni studiano le cause, altri i processi. Il mondo é bello perché é vario :)
Kandel, per concludere, é il piú noto esponente di due correnti, una in seno alla neurobiologia, l'altra in ambito psicoanalitico, che cercano di incontrarsi e confrontarsi traendo l'una beneficio dall'altra. Premio Nobel per la Medicina, doveva diventare rabbino, poi ha preso un bachelor in storia, e solo alla fine é approdato alla psichiatria. E' un fanatico dell'arte e tutt'altro che riduzionista. Io, nel mio piccolo, non mi considero affatto riduzionista: sono laureato in biologia e lavoro felicemente in una facoltá di psicologia!
Quindi tranquilla.
Ciao ;-)
Ciao Giulio,
Kandel è citato di sfuggita, ma nel poco spazio dedicatogli dicevi per me una cosa "grossa", nel senso che meritava molta attenzione[cioè il fatto che la psicanalisi NON sia una scienza]; come merita attenzione il fatto che dici che ti piace la psicanalisi, ma poi la associ - mi pare - alla letteratura russa, come se un'autore che sa costruire personaggi con introspezione psicologica fosse un pò psicanalista, e due chiacchere o una terapia esercitata da un professionista fossero asssimilabili. So che questa posizione non è solo tua, come la mia non è solo mia; ora non siam solo io e te a confrontarci, ma due diversi "filoni" di pensiero. Devo dirti che Kandel non lo conoscevo: vorrei sapere se ha esercitato la professione di psicanalista, in che epoca, per quanto tempo, e una serie di altre cose. Ma non è questo il punto. Non bastano forse nè un singolo post nè una serie di commenti per affrontare il tema; penso che sia meglio che entrambi continuiamo a fare i nostri post, magari nel lungo periodo riusciremo a trovare dei punti di "contatto" da cui ripartire per dialogare e confrontarsi. Sicuramente saprai che non esiste "la" psicanalisi, che dopo Freud sono sorte varie scuole di pensiero e così via, insomma, ce ne sarebbe da parlare... come, per contro, potrei forse parlarti della scuola di Cassano, Psichiatra al contempo ammirato e contestato a Pisa, che per certi versi ha segnato un' epoca, nel bene o nel male, ma anche lì: son punti di vista.
Che altro? Prima che aumentino i sospetti ( ;-P ) sul fatto che io mi "inventi" incesti che non ci sono ti cito brevevemte alcune delle società presso le quali questi si verificano (io AMMIRO PROFONDAMENTE Freud, però lui aveva dei limiti all'epoca non solo di accesso alle informazioni ma anche di metodo - antropologico - ...cosa che a maggior ragione ne conferma la GENIALITà nell'aver avuto le intuizioni che ha avuto, ma che ne non ci permette di pensare che "Totem e tabù" si potesse chiamare volendo "TUTTI i tabù"...): i reali dell'Antico Egitto (dopo i Tolomei, la stirpe di origine greca; prima erano per lo più matrimoni simbolici), i Thonga dell' Africa occidentale, antiche caste nobiliari del Perù e delle Hawaii, gli Azande dell'Africa centrale e altri che non ti posso citare perchè prestai tempo addietro il manuale principale di antropologia e...non fece più ritorno.
Tuttavia voglio tornare anche su questo. Penso che il dibattito natura/cultura sarà uno dei temi più controversi e affascinanti di questo blog. E credo che dovrà giocoforza rientrare, dalla porta o dalla finestra, anche il dibattito su etica e scienza.
E anche di questo - spero - avremo modo di parlare.
Concludo precisando che non ti volevo smontare il post, anzi, ho apprezzato molto l'idea della citazione letteraria perchè l'intersezione con la cultura (letteratura, arte, musica) suggerisce spunti di riflessione interessanti.
Anche questo Freud lo sapeva bene!
;-)
Ciao Julie,
la posizione che a piú riprese mi attribuisci semplicemente non mi appartiene. Comprenderai perció che le tue insistenze preconcette su questo punto mi infastidiscono.
Dostoevskij non é affatto associato a Freud nel mio post, né in alcun modo alla psicoterapia di qualunque indirizzo. Ho solo menzionato il suo "profondo intuito" psicologico, riconosciutogli da una pletora di psicologi.
La posizione che descrivi come "non solo mia" non é mia e basta: stai caricando dei mulini a vento. Sono perfettamente al corrente dei (pre-)giudizi espressi da molti neuroscienziati, a cominciare dai miei colleghi di dipartimento (psicologi, nota bene). Quanto dici di me non mi pare fondato da alcunché io abbia detto o scritto. Se ti riferisci unicamente al fatto che la psicoanalisi non é scienza, questo é una affermazione di ordine metodologico della quale ho citato la fonte. Se hai argomenti, documenti o autorevoli pareri che sanciscano l'uniformitá dei vari procedimenti psicoanalitici ai canoni del metodo scientifico postali e li esamineremo.
Kandel si é formato come psichiatra per diventare psicanalista, poi ha preferito la neurobiologia. Ció non fa di lui un ignorante circa la psicanalisi, tutt'altro, come ho giá puntualizzato.
Concludo invitandoti a una piú attenta lettura di quello che scrivo, prima di sciorinare argomentazioni contro qualcosa che non ho mai sostenuto esplicitamente. Laddove ti pare che io lo sostenga implicitamente, ti invito a considerare seriamente la possibilitá che la tua suscettibilitá sull'argomento ti conduca in errore circa la valutazione delle mie assunzioni implicite.
Augurandomi che questa sia la fine della diatriba e il viatico per una maggior fiducia reciproca, ti saluto.
Ciao Giulio,
delle molte cose interessanti che dici, ne sottolineo due, perchè sono al centro dei due libri che sto leggendo al momento:
1) Il problema della demarcazione fra scienza e pseudoscienza: mi puoi dire in base a quale criterio Kandel afferma che la psicoanalisi non sia una scienza? Non voglio prendere posizione a favore o contro. Voglio solo capire come pensa Kandel. Comunque sia vi dedicherò il prossimo post.
2) L'importanza della memoria episodica: sto leggendo "La misteriosa fiamma della regina Loana" di Eco, un romanzo in cui racconta la riscoperta di se (almeno penso, sono a metà del libro) di un uomo che perde, in seguito ad un incidente, solo e solamente la memoria episodica.
A presto
Stefano
Ciao Stefano,
non dimenticare il post sul neurone, nel quale ti raccomando di non dimenticare il discorso del nostro Camillo Golgi alla cerimonia di assegnazione del Nobel: una vicenda tanto gustosa quanto istruttiva sulla scienza e sugli scienziati.
Alla memoria episodica dedicheró il prossimo post.
L'argomento di Kandel é stato citato solo di sfuggita, ma credo che queste pagine di Wiki possano spiegarlo bene:
http://en.wikipedia.org/wiki/Karl_Popper#Philosophy_of_Science
http://en.wikipedia.org/wiki/Scientific_method
Kandel ha fatto riferimento al principio di falsificabilitá, che nel caso della psicoterapia non é stato applicato rigorosamente e ripetibilmente.
In pratica, egli dice, sapendo che l'interazione sociale influisce sulla terapia, come si puó essere certi che l'apparato teorico del terapeuta costituisca una significativa differenza rispetto al semplice parlare? E cosa accadrebbe se il terapeuta parlasse un linguaggio sconosciuto al soggetto?
Altro argomento: esistono molte psicoterapie, dunque altrettanti apparati teorici, e molte di esse appaiono di fatto efficaci. In quale grado, é difficile da accertarsi. Anche perché non puoi prenderti la libertá di provare a curare un soggetto e a dare a un altro (con gli stessi problemi? Trovi 40 soggetti con lo stesso vissuto? Pare ci siano troppe variabili coinvolte) un "placebo" psicoterapeutico, per motivi etici! Il problema é ancora piú complicata dalla variabilitá interindividuale, che in campo psicologico si presenta ancora piú estrema della giá notevole variabilitá biologica (alcune terapie sarebbero piú efficaci su alcuni soggetti e meno su altri).
Gli argomenti non sono tesi a denigrare alcuna psicoterapia. Kandel partecipa, al momento, a un progetto sull'autismo, per il quale é stato provato il coinvolgimento di una regione del cervello. L'obiettivo é monitorare l'attivitá cerebrale DURANTE la seduta. Si tratta di un obiettivo tecnicamente difficile da raggiungere. La buona notizia é che sono coinvolti diversi grandi, tra cui il presidente del MPI per la ricerca sul cervello, Kandel stesso e altri.
Ciao ciao
Alcune note all'ultimo commento:
- Ho scritto psicoterapie, ma Kandel parlava della psicoanalisi di matrice freudiana. In un secondo momento é stato menzionato l'argomento delle diverse scuole.
- Il terapeuta resta un esperto anche nel momento in cui si prende in considerazione l'effetto della "chiacchierata" col paziente: l'argomento non vuole ridurre la terapia a una chiacchierata tra amici, ma enfatizzare che l'interazione umana, piú che quella teoricamente struttrata, terapeuta-paziente.
- Ho accennato alle difficoltá di un approccio sperimentale, ma non trascuro che l'osservazione sia parte del metodo scientifico. È vero peró che quando si tratta di mente é tutto piú complicato. Anche l'osservazione.
ciao ciao
Ciao Giu,
però mi sembra riduttivo da parte di Kandel riferirsi al falsificazionismo di Popper come all'unico criterio per valutare la scientificità di una teoria.
Ti aspetto al varco del tuo prossimo post!
A presto
Stefano
Ciao Stefano,
è stata una cosa di 1 minuto, puramente di passaggio.
Diceva che l'efficacia di uno specifico sistema teorico, a dispetto delle altre variabili in gioco, non è provata. Non è detto che sia provabile, ma ho già detto che egli è impegnato in prima persona nel tentativo! Poi nei suoi libri avrà forse approfondito, non so.
Nè la cosa era riferita alla Psicologia, ma alla Psicoanalisi.
Neppure gli psicologi si decidano su quali terapie siano efficaci, e su quali siano chiacchiere.
Insomma, Kandel prima di parlare ci pensa due volte. Io non ho in mente post a riguardo, e non intendo sostenere Kandel o Popper. Ho la mia idea delle problematicità del metodo scientifico, ne so meno di molti e più di alcuni, ma non è questo il tema del blog.
Concludendo: se il falsificazionismo fosse l'unico criterio, teorie come l'evoluzionismo non sarebbero valide. Perciò ho aggiunto al link su Popper quello sul metodo scientifico. Kandel ha detto quello che ho scritto: la citazione era una mia idea.
Ciao
Scrivo un'ovvietà: prima di dire se la psicoanalisi è una scienza o no bisogna intendersi sula definizione di scienza.
Cmq sia, rimanendo sulla psicoanalisi, Freud stesso vedeva alla psicoanalisi come a:
-una tecnica di indagine dell'inconscio
-una psicologia, nel senso di una visione dell'uomo (ok, questa sì scientifica)
-una tecnica terapeutica
Non credo che ci siano molti psicoanalisti disposti a definirsi "scienziati".
Che poi la psicoanalisi possa avere anche delle basi scientifiche ben venga, ed anzi non vedo l'ora di leggere i post sulla psicoanalisi come scienza
x Anonimo (e per gli Anonimi futuri): se per te non è un problema, le prossime volte ricorda di darti un qualunque nick name e mantienilo per gli interventi successivi. Ora, è vero, di Anonimo ci sei solo tu, ma se in futuro più Anonimi dovessero commentare uno steso post, si correrebbe - a mio avviso - il rischio di vanificare la costruttività delle critiche (...vai a capire se lo stesso Anonimo che dice una cosa, o due Anonimi diversi... e a chi rispondi? son due interventi o uno stesso in più parti? e via dicendo...).
I post, come ho annunciato nell'intervento successivo, arriveranno a più puntate non autoconclusive(e almeno per i prossimi 20-25 giorni con frequenza rallentata perchè ho poco tempo per "comporre"... punterò però su coincisione e "qualità" ;-P).
A presto
Sarà fatto ^^
Daniele
Ciao Daniele,
l'ovvietà del problema di definizione di scienza è un'ovvietà importantissima...
Spero di avere tempo di scriverne sul mio altro blog, prima o poi...
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