Oggi vorrei entrare nei dettagli della discussione cominciata qui e spiegare qual'è il correlato neurale più semplice da esaminare: il tasso di scarica di un neurone o di un gruppo di essi.
Come sapete, i neuroni comunicano tra loro tramite potenziali d'azione, sarebbe a dire brevissime scariche lettere. È come se comunicassero tramite un codice Morse fatto solo di punti ma non di linee.
(Per essere precisi, questo è vero sicuramente per i neuroni corticali umani, mentre creature più semplici hanno spesso neuroni comunicanti in altre maniere, ma questo è un altro discorso)
Immaginiamo adesso di fare un esperimento che ci consenta di registrare questi impulsi durante un esperimento, ad esempio mentre mostrate ad un soggetto diverse immagini. Cosa possiamo fare per analizzare i dati a nostra disposizione? Possiamo, ad esempio, per ogni immagine mostrata al soggetto, contare quanti potenziali d'azione sono stati registrati dal vostro elettrodo e dividerli per il tempo per il quale abbiamo mostrato l'immagine. Otteniamo così un "tasso di scarica", che ovviamente dipenderà dall'immagine mostrata al soggetto.
Vi sembrerà bizzarro, ma questa semplice analisi rivelerà che in alcune zone del cervello ci sono neuroni che scaricano preferibilmente quando vengono mostrate alcuni tipi di immagini. Ad esempio, se siete degli amanti del cinema trash, avrete sicuramente alcuni neuroni nel cervello che scaricano a tutta forza quando vengono mostrate immagini di Lino Banfi.
Non sto scherzando.
PS: non mettetevi in testa adesso che il cervello funziona in maniera banale. Il fatto che per quasi ogni oggetto o concetto ci siano neuroni che scaricano, non spiega assolutamente nulla: nè il meccanismo che genera questo fenomeno, nè la sua funzione. In altre parole: del significato di tali analisi parleremo un'altra volta...
sabato 30 gennaio 2010
venerdì 15 gennaio 2010
Reinforcement learning, parte seconda: la punizione
Abbiamo già visto in precedenza qualche aspetto della ricompensa, e come sia possibile modificare i comportamenti appresi, e parliamo in particolare di abitudini, cambiando ricompensa. Questo è un meccanismo molto potente, ancorchè inconscio. Ed è un meccanismo basilare per l'educazione. Ci si domanda spesso, in questo contesto, quale sia il valore della punizione. Se, infatti, la ricompensa è il feedback positivo che ci insegna a ripetere comportamenti che ci procurano soddisfazione, la punizione certifica, per il cervello, che è sconveniente ripetere l'azione.
Faccio subito una precisazione: bisogna distinguere, sebbene in natura siano mescolati, l'apprendimento per feedback negativo da quello di natura emotiva. L'apprendimento per feedback negativo non è che l'altra faccia del rinforzo positivo: facendo numerosi errori pian piano impariamo ad aggiustare il tiro. Abbiamo bisogno, per questo, di diverse occasioni di errore. L'apprendimento emotivo, invece, necessita di una singola occasione: mangio cibo avariato, sto male, eviterò in futuro di mangiarne ancora. Trasferito sul piano educativo, questo meccanismo può regolare il comportamento tramite la paura. Un padre assesta un ceffone a un bambino: questi a tutta prima è sorpreso e spaventato. Il meccanismo della paura è legato al concetto di deterrente, ossia non commetto un crimine per evitare un futuro sgradevole. Nell'apprendimento tramite punizione, invece, l'episodio è ripetuto e si fa esperienza delle conseguenze negative.
Questo distinguo è importante, perchè non si fraintenda quanto segue.
Allan Collins nella sua lezione parlava di una sperimentazione in atto sui recettori niconitici, che ha in sè la grande promessa di rendere più facile l'interruzione del fumo. Abbiamo detto che ci sono recettori responsabili del piacere conseguente al fumo, e ce ne sono altri responsabili di conseguenze negative sull'apparato digerente. Ebbene, pare siano allo studio farmaci specifici per bloccare i recettori positivi, così da renderli insensibili alla nicotina, intaccando poco o nulla quelli negativi! Dopo la somministrazione del farmaco il soggetto è invitato a... fumare! Non traendo più rinforzo positivo dal fumo, ma sperimentandone solo gli inconvenienti, il soggetto pian piano perde il vizio.
Benchè i risultati siano migliori di quelli ottenuti tramite applicazioni cutanee di nicotina (cerotti), lo zoccolo duro dei fumatori non smette, probabilmente perchè resta un'associazione psicologica molto forte tra i gesti compiuti nell'atto di fumare e la ricompensa, o per altre caratteristiche individuali. Per fortuna è così: la complessità umana non si lascia ridurre a una manciata di molecole!
Il maccanismo della punizione è utilizzabile anche per imparare, come avviene quando uno gioca a freccette e mancando ripetutamente il bersaglio affina la mira. Ma quello per cui è probabilmente insostibuile è disimparare.
Chi desidera approfondire l'argomento può consultare, tra gli altri, gli articoli di Michael J. Frank.
Faccio subito una precisazione: bisogna distinguere, sebbene in natura siano mescolati, l'apprendimento per feedback negativo da quello di natura emotiva. L'apprendimento per feedback negativo non è che l'altra faccia del rinforzo positivo: facendo numerosi errori pian piano impariamo ad aggiustare il tiro. Abbiamo bisogno, per questo, di diverse occasioni di errore. L'apprendimento emotivo, invece, necessita di una singola occasione: mangio cibo avariato, sto male, eviterò in futuro di mangiarne ancora. Trasferito sul piano educativo, questo meccanismo può regolare il comportamento tramite la paura. Un padre assesta un ceffone a un bambino: questi a tutta prima è sorpreso e spaventato. Il meccanismo della paura è legato al concetto di deterrente, ossia non commetto un crimine per evitare un futuro sgradevole. Nell'apprendimento tramite punizione, invece, l'episodio è ripetuto e si fa esperienza delle conseguenze negative.
Questo distinguo è importante, perchè non si fraintenda quanto segue.
Allan Collins nella sua lezione parlava di una sperimentazione in atto sui recettori niconitici, che ha in sè la grande promessa di rendere più facile l'interruzione del fumo. Abbiamo detto che ci sono recettori responsabili del piacere conseguente al fumo, e ce ne sono altri responsabili di conseguenze negative sull'apparato digerente. Ebbene, pare siano allo studio farmaci specifici per bloccare i recettori positivi, così da renderli insensibili alla nicotina, intaccando poco o nulla quelli negativi! Dopo la somministrazione del farmaco il soggetto è invitato a... fumare! Non traendo più rinforzo positivo dal fumo, ma sperimentandone solo gli inconvenienti, il soggetto pian piano perde il vizio.
Benchè i risultati siano migliori di quelli ottenuti tramite applicazioni cutanee di nicotina (cerotti), lo zoccolo duro dei fumatori non smette, probabilmente perchè resta un'associazione psicologica molto forte tra i gesti compiuti nell'atto di fumare e la ricompensa, o per altre caratteristiche individuali. Per fortuna è così: la complessità umana non si lascia ridurre a una manciata di molecole!
Il maccanismo della punizione è utilizzabile anche per imparare, come avviene quando uno gioca a freccette e mancando ripetutamente il bersaglio affina la mira. Ma quello per cui è probabilmente insostibuile è disimparare.
Chi desidera approfondire l'argomento può consultare, tra gli altri, gli articoli di Michael J. Frank.
mercoledì 6 gennaio 2010
Cattivi bambini
Non posso lasciarmi scappare l'occasione di pubblicare questo post proprio nel giorno della Befana, l'ultima chance concessa ai bambini a cui non è andata troppo bene a Natale, per fare vedere quanto siano diventati buoni nella settimana tra l'uno e l'altra.
L'ispirazione mi viene dal Nastro bianco, e dalle suggestioni letterarie del Signore delle mosche, mio libro prediletto per anni che mi è venuto in mente subito dopo la visione del film.
Il punto è a mio avviso questo: perchè gli adulti del film continuano a vedere - o a far indossare - ai bambini nastri bianchi (simbolo di purezza e innocenza), reali o metaforici che siano? E perchè nel contempo quegli stessi adulti sono violenti, bugiardi, egoisti, incestuosi? E perchè i bambini stanno - sembrano stare - al gioco?
Se non fosse stato necessario porsi la prima domanda, si sarebbe di sicuro risolta parte della trama. Se Michael Haneke non avesse sapientemente focalizzato il meccanismo deresponsabilizzante degli adulti che delegano la realizzzione di quanto è buono e puro agli adulti di domani (pur sempre radicati nell'oggi!), non ci porremmo la seconda. Se sforzarsi di corrispondere alle aspettative non fosse comportamento comune ai giovani esseri umani ancora dipendenti dagli adulti da cui, buoni o cattivi che siano, introiettano l'immagine di sè non ci porremmo la terza.
Il fatto è, e qui vengo all'intuizione letteraria di Golding, che all'immagine socialmente diffusa dell'infazia come status privilegiato pervaso dalla condizione di assoluta bontà e innocenza non corrisponde nessuna condizione ontologicamente determinata di effettiva, assoluta bontà. Non c'è quindi niente da "salvare", nè niente che possa esser "corrotto" dalla crescita o dall'ingresso nel mondo adulto.
Dirò di più. Se da un lato il pessimismo goldinghiano in merito al "particolare" status dell'infanzia e dell'adolescenza può sembrare esagerato, non si può negare, allargandoci da una singola fascia di età all'essere umano in generale, la compresenza di quello che viene comunemente definito bene e di quello che viene comunemente chiamato male (si veda in proposito questo contributo). Semplicemente, l'entità e manifestazione dell'uno e/o dell'altro variano in funzione di una serie di fattori, tra cui, pensando in funzione dell' l'età, troviamo anche l'esperienza.
Esistono quindi in noi diverse possibilità comportamentali, alcune semplicemente definite buone, altre definite cattive. Questo dovrebbe essere insegnato anche ai bambini che, non meno intelligenti degli adulti, ma semplicemente meno esperti della vita e dipendenti pertanto dagli adulti stessi, non possono fare a meno del filtro di chi costantemente li educa e dà loro l'esempio non solo per interpretare il reale, ma anche sè stessi (ricordate infatti l'importanza dei metamessaggi veicolati, attraverso il non verbale, con i messaggi impliciti).
Come avviene allora il passaggio, stavolta non agli occhi della società, ma nella mente dei piccoli adulti, dal fare delle cose cattive ad essere (o meglio: sentirsi) cattivi dentro (alias: uno dei dilemmi a mio avviso lasciati in sospeso dal film)?
Ecco, se stesse a me progettarne il sequel, coglierei la ghiotta opportunità per rigirare l'intero film, scena dopo scena, non in funzione della trama complessiva che emerge (anzi, sembra emergere, direi), ma ricostruendo su modello dell'analisi transazionale, personaggio dopo personaggio, i diversi copioni di vita... tra genitori normativi nelle varianti del "persecutore"(cioè una figura di riferimento che detta norme, divieti e giudizi ma non in funzione protettiva) e bambini adattati sottomessi o ribelli potrebbe anche non nascere una perla cinematografica, ma sicuramente ne trarremmo un cospicuo materiale didattico... Spesso capire cosa c'è dietro la realtà può esse più importante di discernere la realtà stessa. In questo senso per me non c'è nessun finale aperto: si vede quanto basta per intuire tutti i perchè che potrebbero rimanere in sospeso.
E ora, brutti bambini cattivi, finite il vostro carbone!
L'ispirazione mi viene dal Nastro bianco, e dalle suggestioni letterarie del Signore delle mosche, mio libro prediletto per anni che mi è venuto in mente subito dopo la visione del film.
Il punto è a mio avviso questo: perchè gli adulti del film continuano a vedere - o a far indossare - ai bambini nastri bianchi (simbolo di purezza e innocenza), reali o metaforici che siano? E perchè nel contempo quegli stessi adulti sono violenti, bugiardi, egoisti, incestuosi? E perchè i bambini stanno - sembrano stare - al gioco?
Se non fosse stato necessario porsi la prima domanda, si sarebbe di sicuro risolta parte della trama. Se Michael Haneke non avesse sapientemente focalizzato il meccanismo deresponsabilizzante degli adulti che delegano la realizzzione di quanto è buono e puro agli adulti di domani (pur sempre radicati nell'oggi!), non ci porremmo la seconda. Se sforzarsi di corrispondere alle aspettative non fosse comportamento comune ai giovani esseri umani ancora dipendenti dagli adulti da cui, buoni o cattivi che siano, introiettano l'immagine di sè non ci porremmo la terza.
Il fatto è, e qui vengo all'intuizione letteraria di Golding, che all'immagine socialmente diffusa dell'infazia come status privilegiato pervaso dalla condizione di assoluta bontà e innocenza non corrisponde nessuna condizione ontologicamente determinata di effettiva, assoluta bontà. Non c'è quindi niente da "salvare", nè niente che possa esser "corrotto" dalla crescita o dall'ingresso nel mondo adulto.
Dirò di più. Se da un lato il pessimismo goldinghiano in merito al "particolare" status dell'infanzia e dell'adolescenza può sembrare esagerato, non si può negare, allargandoci da una singola fascia di età all'essere umano in generale, la compresenza di quello che viene comunemente definito bene e di quello che viene comunemente chiamato male (si veda in proposito questo contributo). Semplicemente, l'entità e manifestazione dell'uno e/o dell'altro variano in funzione di una serie di fattori, tra cui, pensando in funzione dell' l'età, troviamo anche l'esperienza.
Esistono quindi in noi diverse possibilità comportamentali, alcune semplicemente definite buone, altre definite cattive. Questo dovrebbe essere insegnato anche ai bambini che, non meno intelligenti degli adulti, ma semplicemente meno esperti della vita e dipendenti pertanto dagli adulti stessi, non possono fare a meno del filtro di chi costantemente li educa e dà loro l'esempio non solo per interpretare il reale, ma anche sè stessi (ricordate infatti l'importanza dei metamessaggi veicolati, attraverso il non verbale, con i messaggi impliciti).
Come avviene allora il passaggio, stavolta non agli occhi della società, ma nella mente dei piccoli adulti, dal fare delle cose cattive ad essere (o meglio: sentirsi) cattivi dentro (alias: uno dei dilemmi a mio avviso lasciati in sospeso dal film)?
Ecco, se stesse a me progettarne il sequel, coglierei la ghiotta opportunità per rigirare l'intero film, scena dopo scena, non in funzione della trama complessiva che emerge (anzi, sembra emergere, direi), ma ricostruendo su modello dell'analisi transazionale, personaggio dopo personaggio, i diversi copioni di vita... tra genitori normativi nelle varianti del "persecutore"(cioè una figura di riferimento che detta norme, divieti e giudizi ma non in funzione protettiva) e bambini adattati sottomessi o ribelli potrebbe anche non nascere una perla cinematografica, ma sicuramente ne trarremmo un cospicuo materiale didattico... Spesso capire cosa c'è dietro la realtà può esse più importante di discernere la realtà stessa. In questo senso per me non c'è nessun finale aperto: si vede quanto basta per intuire tutti i perchè che potrebbero rimanere in sospeso.
E ora, brutti bambini cattivi, finite il vostro carbone!
Iscriviti a:
Post (Atom)