Non posso lasciarmi scappare l'occasione di pubblicare questo post proprio nel giorno della Befana, l'ultima
chance concessa ai bambini a cui non è andata troppo bene a Natale, per fare vedere quanto siano diventati buoni nella settimana tra l'uno e l'altra.
L'ispirazione mi viene dal
Nastro bianco, e dalle suggestioni letterarie del
Signore delle mosche, mio libro prediletto per anni che mi è venuto in mente subito dopo la visione del film.
Il punto è a mio avviso questo: perchè gli adulti del film continuano a vedere - o a far indossare - ai bambini nastri bianchi (simbolo di purezza e innocenza), reali o metaforici che siano? E perchè nel contempo quegli stessi adulti sono violenti, bugiardi, egoisti, incestuosi? E perchè i bambini stanno -
sembrano stare - al gioco?
Se non fosse stato necessario porsi la prima domanda, si sarebbe di sicuro risolta parte della trama. Se
Michael Haneke non avesse sapientemente focalizzato il meccanismo deresponsabilizzante degli adulti che delegano la realizzzione di quanto è buono e puro agli adulti di domani (pur sempre radicati nell'oggi!), non ci porremmo la seconda. Se sforzarsi di corrispondere alle aspettative non fosse comportamento comune ai giovani esseri umani ancora dipendenti dagli adulti da cui, buoni o cattivi che siano, introiettano l'immagine di sè non ci porremmo la terza.
Il fatto è, e qui vengo all'intuizione letteraria di
Golding, che all'immagine socialmente diffusa dell'infazia come status privilegiato pervaso dalla condizione di assoluta bontà e innocenza non corrisponde nessuna condizione ontologicamente determinata di effettiva, assoluta bontà. Non c'è quindi niente da "salvare", nè niente che possa esser "corrotto" dalla crescita o dall'ingresso nel mondo adulto.
Dirò di più. Se da un lato il pessimismo goldinghiano in merito al "particolare" status dell'infanzia e dell'adolescenza può sembrare esagerato, non si può negare, allargandoci da una singola fascia di età all'essere umano in generale, la compresenza di quello che viene comunemente definito bene e di quello che viene comunemente chiamato male (si veda in proposito
questo contributo). Semplicemente, l'entità e manifestazione dell'uno e/o dell'altro variano in funzione di una serie di fattori, tra cui, pensando in funzione dell' l'età, troviamo anche l'esperienza.
Esistono quindi in noi diverse possibilità comportamentali, alcune semplicemente
definite buone, altre
definite cattive. Questo dovrebbe essere insegnato anche ai bambini che, non meno intelligenti degli adulti, ma semplicemente meno esperti della vita e
dipendenti pertanto dagli adulti stessi, non possono fare a meno del filtro di chi costantemente li educa e dà loro l'esempio non solo per interpretare il reale, ma anche sè stessi (ricordate infatti l'importanza dei
metamessaggi veicolati, attraverso il
non verbale, con i messaggi impliciti).
Come avviene allora il passaggio, stavolta non agli occhi della società, ma nella mente dei piccoli adulti, dal
fare delle cose cattive ad
essere (o meglio: sentirsi) cattivi dentro (
alias: uno dei dilemmi a mio avviso lasciati in sospeso dal film)?
Ecco, se stesse a me progettarne il
sequel, coglierei la ghiotta opportunità per rigirare l'intero film, scena dopo scena, non in funzione della trama complessiva che emerge (anzi,
sembra emergere, direi), ma ricostruendo su modello dell'
analisi transazionale, personaggio dopo personaggio, i diversi
copioni di vita... tra
genitori normativi nelle varianti del "persecutore"(cioè una figura di riferimento che detta norme, divieti e giudizi ma non in funzione protettiva) e
bambini adattati sottomessi o
ribelli potrebbe anche non nascere una perla cinematografica, ma sicuramente ne trarremmo un cospicuo materiale didattico... Spesso capire cosa c'è
dietro la realtà può esse più importante di discernere la realtà stessa. In questo senso per me non c'è nessun finale aperto: si vede quanto basta per intuire tutti i
perchè che potrebbero rimanere in sospeso.
E ora, brutti bambini cattivi, finite il vostro carbone!