Fra i vari problemi delle neuroscienze teoriche ce n'è uno che mi piace particolarmente; principalmente perchè mette in evidenza come un approccio riduzionista sia essenzialmente privo di speranza.
Mi riferisco al problema dell'integrazione fra segnali elettrici a varie scale. La scala più bassa è quella cellulare: si anestetizza un animale, e si cerca di registrare il potenziale di membrana di un neurone utilizzando un elettrodo che penetri all'interno del neurone. Non è particolarmente facile, ma si può fare.
Quello che si vedrà è un segnale molto irregolare, intervallato ogni tanto da grandi, rapide escursioni (spikes). Se si vuole averne un'idea, si osservi l'immagine qui.
Se invece, si inserisce nel cervello del nostro animale un elettrodo che non penetri le cellule, ma che si inserisca fra loro, per dirla in maniera semplice, si osserverà il potenziale extracellulare, che viene di solito filtrato per evidenziare la parte del segnale in bassa frequenza (LFP), o quella in alta frequenza (MUA). Si veda qua.
Se poi si va ancora più lontani dalla fonte del segnale, si può osservare il segnale EEG, che viene misurato all'esterno della testa, si veda qua.
La cosa veramente interessante è che oggi, nel 2009, a 136 anni dalla pubblicazione delle equazioni di Maxwell ancora di deve capire quali sono le relazioni fra questi tre segnali.
Si sa molto di come il segnale cellulare produce il MUA, e si incomincia a capire come il primo determina l'LFP; ma nulla si sa delle cause dell'EEG!
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